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Giovanni Paolo II, il papa della famiglia e per la vita a cento anni dalla sua nascita

Il mese di maggio è per la Chiesa cattolica Universale il mese dedicato alla Madonna. Quest’anno in particolare, proprio lunedì 18, ricorrono i 100 anni dalla nascita di Karol Jozef Wojtyla, San Giovanni Paolo II. 


Un papa molto amato, dalla forte personalità e profonda umiltà. Sono stati 27 gli anni di pontificato, tra i più lunghi, ma è stato anche uno dei più giovani papi a salire al soglio di Pietro. Un papa per la vita, la famiglia e contro i totalitarismi. È stato un pontificato aperto, comunicativo, senza paura di entrare in contatto con la gente. I vescovi polacchi hanno scritto un messaggio che verrà letto in tutte le chiese del Paese: Giovanni Paolo II “ha portato un contributo incalcolabile alla storia della Polonia, dell’Europa, del mondo e alla storia della Chiesa universale”. E il Papa emerito, Benedetto XVI, ha scritto una lettera per celebrare la ricorrenza.



Abbiamo incontrato Mons. Slawomir Oder, vicario giudiziale del Tribunale ordinario della diocesi di Roma e postulatore della causa di canonizzazione di Giovanni Paolo II. Quali sono state le cose hanno colpito di più sulla figura di San Giovanni Paolo II nel processo di beatificazione? 
Quello che mi ha colpito è la sua integrità. Era una persona coerente, nel privato come nel pubblico. Era un uomo di una condotta sana, con la grande capacita di vivere una vita autentica, fatta di pietà, incontro con le persone e un costante impegno nel trasmettere il Vangelo. Molto spesso parlava dei doveri di un pontefice: primo tra tutti quello di testimoniare la fede, la preghiera, il dialogo con l’uomo contemporaneo e non astratto, fatto di carne e ossa. Nello stesso tempo è depositario di una grande fiducia da parte di Dio. I suoi gesti erano gesti che sgorgavano dal cuore: il sorriso, le braccia aperte; nella sera della sua elezione, rivolto al popolo che lo festeggiava, ruppe un protocollo del Vaticano. Comunicare, incontrare, testimoniare, vivere una vita da persona sono le sue parole d’ordine. 

Quali sono state le testimonianze più toccanti per far sì che la Chiesa lo proclamasse Santo? 
Questa è una domanda alla quale è difficile rispondere, perché la cosa che colpisce nella vita di quest’uomo è la vita semplice, fatta di gesti di routine quotidiana. Parlava della santità come anima della Carità, che è l’amore. E lui sapeva mettere la carica di questo amore nelle cose ordinarie di ogni giorno. È questo ad averlo reso santo. Possiamo ancora ammirarlo come pontefice nella grandezza delle sue opere, è stato un grande statista del XXI secolo. Di certo la santità non è fatta di grandi gesti, ma da quella che era la sua anima, in gesti apparentemente semplici ma tanto grandi, l’amore per Dio e l’amore per l’uomo. Questo si è manifestato con l’incontro tangibile con tutti gli uomini. 

Karol Wojtyla ha sofferto tutti tipi di totalitarismi nel mondo, come le ideologie che oggi stiamo vivendo… qual’è stata la forza che ha utilizzato per far cadere il comunismo? Giovanni Paolo II non amava parlare di se stesso, definirsi come colui che aveva fatto cadere il comunismo. Piuttosto era un uomo della Provvidenza, sapeva bene che chi muove la storia realmente è Dio, diceva che erano stati la Madonna e il Signore a far cadere il regime. Però è vero che il Signore ha scelto proprio lui, il suo pontificato, come strumento privilegiato per accelerare in maniera definitiva quel processo di declino del totalitarismo di quel momento. Studiando le carte del Processo di Canonizzazione, abbiamo trovato la documentazione degli Archivi della Memoria Nazionale, un istituto nato dopo la trasformazione democratica della Polonia, che raccoglie la documentazione del regime comunista. In queste carte abbiamo recuperato una cartella dove veniva raccolto il materiale contro di lui. Presenta Wojtyla come una figura straordinaria, un uomo pio, di ferrei principi morali, staccato dalla ricchezza, uomo umile e di dialogo, capace di relazionarsi con i credenti e non credenti, di governare. La fine del rapporto però concludeva sottolineandolo come una persona ‘estremamente pericolosa’, perché inattaccabile. La chiesa non è uno strumento per combattere o attaccare qualcuno, ma per affermare la verità e testimoniare il Vangelo, vivere una vita che trova la sua espressione nell’imperativo evangelico di non rispondere con il male al male ma vincere il male con il bene, alla fine fa cadere i regimi più pericolosi. 

Che segno ha lasciato il pontificato di papa Giovanni Paolo II per la Chiesa?
Il suo pontificato si scrive in un periodo molto delicato per la chiesa, che è quello della recensione e interpretazione del Concilio Vaticano II, in cui Wojtyla ha saputo dare in questo periodo la certezza della Fede. Oggi Papa Benedetto ha scritto una lettera al Cardinale di Cracovia sulla figura di Giovanni Paolo II e il valore che ha saputo apportare in quel periodo. Mentre all’interno della chiesa stessa venivano contestate le Verità della Fede, lui ha portato le certezze. Era sì un uomo di convinzione, ma non era un uomo intransigente, si faceva solo portatore del messaggio della Misericordia di Dio. Ci ha lasciato il passaggio Post Conciliare, un‘autentica’ interpretazione dello spirito del Concilio Vaticano II. Una chiesa che si pone in ascolto nei confronti del mondo, che sa dialogare, rispettare, consapevole della pluralità di vedute del nostro mondo. 



Che similitudine c’è tra il pontificato di papa Francesco e quello di Giovanni Paolo II? Entrambi provengono dalle periferie della chiesa. All’epoca dell’elezione di Wojtyla la percezione dell’Est europeo era sicuramente quella di una zona dell’Europa molto periferica. Bergoglio viene dall’Argentina, che significa venire da molto lontano, come egli stesso ha ricordato durante la sua elezione a Pontefice. È una chiesa che parte da una prospettiva diversa, che sicuramente è segnata dalla sofferenza e dalla persecuzione subita e dalle ingiustizie civili. Sono due uomini entrambi portatori nel loro cuore di una grande sensibilità per l’aspetto sociale. Sanno che la Teologia non è un’arte pura e un dilettarsi poetico, ma una realtà che tocca e deve penetrare la vita quotidiana di ogni persona, con un richiamo costante alla dignità dell’essere umano, che deve essere considerata come soggetto, non come oggetto. È proprio il bene dell’uomo il fine ultimo di ogni azione politica. La sensibilità di Papa Francesco parte dall’esperienza della povertà e dell’esclusione della logica dello scarto, come ripete sempre nei suoi discorsi, portando l’esperienza della chiesa e della società latinoamericane. 

Entrambi con una pietà radicata fatta di tradizione vissuta in famiglia. Entrambi amanti della Madonna. Secondo Lei quanto è presente nel cuore della gente la figura di San Giovanni Paolo II? 
A distanza di 15 anni ancora oggi, pur avendo chiuso ormai l’attività dell’Ufficio della Causa della Postulazione, la cosa più commovente sono le lettere che arrivano a me scritte per Giovanni Paolo II. Lettere che chiedono di essere depositate sulla sua tomba ed essere oggetto preghiera per la sua intercessione. La Cappella di San Sebastiano, nella Basilica di San Pietro, rimane una meta di continui pellegrinaggi. Di recente, quando è stato aperto il processo di Beatificazione dei suoi genitori, sono arrivate immediatamente email da diverse parti del mondo che esprimevano gioia e partecipazione per questo nuovo Processo. La gente rimane ancora attenta e sensibile a tutto ciò che è legato al suo nome. Veniva comunemente chiamato ‘Il nostro Papa’, in tutte le lingue, come una persona cara che entra a far parte della vita della gente. 

 Quale è stato il ruolo che hanno avuto i suoi genitori, che oggi sono in fama di Santità? Molto spesso in tutti i libri che hanno un aspetto autobiografico, parla di questa sua famiglia come un luogo in cui ha ricevuto la vita e la fede. Ricorda di meno la sua mamma, perché quando venne a mancare Karol aveva appena 9 anni. La figura paterna è stata vicino a lui invece per più di vent’anni. Lui stesso dice che il suo primo formatore, il suo primo maestro, e una vera guida nella vita spirituale, è stato proprio suo padre. Lo ricordava di notte raccolto in preghiera, con il Rosario in mano, oppure quando lo prendeva per mano visitando i santuari mariani. Non tanto con le parole, quanto più con il suo esempio di vita. Ha imparato ad amare Dio e la Madonna sulle ginocchia della sua mamma, e portato sui sentieri della fede dal suo papà.




Roberto Montoya

FONTE:RAI NEWS

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