Rita da Cascia
Aveva davanti a sé una scelta che avrebbe condizionato la sua vita: accettare la mediocrità e la vendetta o preferire il perdono e la fraterna carità. Potevamo veramente non dover mai parlare di Margherita Lotti, meglio conosciuta come santa Rita da Cascia, se non avesse accolto l’invito di Cristo a non ricambiare odio con odio e a non procedere contro chi le aveva ucciso il marito.
Siamo negli ultimi anni del XIV secolo a Roccaporena, un piccolo borgo umbro nel cuore della Valnerina. Un ambiente rurale, dove nel 1371, Margherita viene alla luce da Antonio Lotti e Amata, contadini e pacieri di mestiere. I due genitori stravedono per la loro unica figlia. Vogliono offrirle tutto quello che a loro manca. La mandano nella vicina Cascia per ben istruirla e la affidano ai frati agostiniani che lì hanno un convento. L’ambiente religioso fa nascere in lei il desiderio delle cose di Dio. Sente la vocazione di seguire Cristo più da vicino, ma gli anziani genitori non vogliono fare a meno della figlia. Scelgono al suo posto e la fanno sposare, negli anni 1387-1388, con un giovane del luogo, un certo Paolo, figlio di Ferdinando Mancini. I biografi narrano che ha un carattere irruento, a tratti impulsivo. Rita è all’opposto: buona, umile, caritatevole, abituata a compiere il proprio dovere. Nella sua giornata non manca mai il tempo per pregare e per dedicarsi a Dio.
In un’Italia divisa in mille fazioni, il marito è un convinto ghibellino e ciò lo espone alle rappresaglie dei guelfi. Nel matrimonio non voluto né cercato, Rita compie il primo miracolo. Con i suoi modi affabili e pieni di umanità, riesce a cambiare il duro carattere dell’uomo. La vita familiare si fa più serena. Nascono due gemelli: Giangiacomo e Paolo Maria, che Rita educa cristianamente. Si occupa anche degli anziani genitori e cura l’orto vicino casa. La sofferenza bussa però ben presto alla porta della sua casa.
Una sera del 1401 sente qualcuno che la chiama urgentemente. Paolo è stato ucciso mentre tornava da Cascia. A Rita crolla il mondo intorno a lei. Si sente straziata, anche perché il marito non portava più armi con sé dopo le promesse fattele. La vedova accorre sul posto del delitto insieme ai figli. Il dolore lancinante non le impedisce di perdonare. Ed ecco il secondo miracolo. Accetta la croce e affida a Dio la giustizia che gli uomini non riescono a fare. In una società lacerata da fazioni e odii reciproci, Rita si erge come un gigante con il suo coraggio e la sua forza di perdono. Vede in Cristo il modello a cui guardare e si immerge nella preghiera.
Un anno dopo Paolo, muoiono anche i figli. La sofferenza è al culmine. Ora è sola e senza più nessun affetto terreno. Le rimane la persona che non delude mai: Cristo, e a lui si affida interamente. Non si chiude in se stessa, ma inizia ad aiutare i fratelli che sono nel bisogno. Sente rinascere il desiderio di seguire Gesù nella vita religiosa. Ha 30 anni, è ancora giovane. Si reca al monastero delle agostiniane di Cascia dedicato a Santa Maria Maddalena. Ma riceve un rifiuto. Troppo vivo è il recente assassinio del marito. Le monache temono per la loro incolumità e le rappresaglie dei parenti e non vogliono essere coinvolte nelle faide.
Rita, allora, si getta in preghiera, e compie un altro miracolo. Riesce a rappacificare i parenti di Paolo con i suoi uccisori. Li fa incontrare in chiesa e la pace si suggella con un abbraccio. Anche allora come ora questa opera di pacificazione desta meraviglia e ammirazione. Forse è il primo episodio in cui si afferma come santa degli impossibili.
La porta del monastero adesso si apre e nel 1407 è ammessa tra le agostiniane. Dopo essere stata sposa, madre e vedova, adesso è anche monaca. Rimane nel cenobio per 40 anni. Nascosta con Cristo in Dio intercede per i fratelli nel mondo, memore di quanto la vita sociale e politica del tempo fosse piena di pericoli per l’integrità della dignità dell’uomo e della sua anima. Si narra che durante il noviziato, la badessa, per provare la sua umiltà le chiede di innaffiare un legno secco. L’obbedienza di Rita viene premiata da Dio ed ecco un nuovo miracolo: la vite riprende a fiorire e ancora oggi cresce rigogliosa nel monastero.
Fedele agli insegnamenti di sant’Agostino, la monaca si dedica alla carità, al servizio a Dio e all’uomo. Il venerdì santo del 1432, avviene un nuovo miracolo. Rita è in piena contemplazione dopo aver ascoltato una predica sulla passione del Signore. Colma di amore per il Crocifisso, riceve una spina della corona che avvolge il capo di Gesù. La spina le trafigge la fronte fino all’osso. Le rimarrà la sofferenza per tutta la vita, lieta di associarsi alla passione di Cristo. Il frutto di tanto dolore non resta chiuso in lei, lo trasmette alla comunità e ai fratelli nel mondo. È diventata la “donna forte” e la “vergine saggia”, delle quali parla la Bibbia. Con il suo esempio indica a qualsiasi stato di vita si appartenga che l’unica via alla santità è quella della fedeltà a Cristo fino alla morte in croce.
Nel 1443 si ammala gravemente e la sua esistenza è ormai segnata dal patire e dal dover rimanere allettata per lunghi anni. Nel gennaio 1447, avviene un nuovo miracolo. Una sua parente di Roccaporena va a visitarla e le chiede se vuole qualcosa. Con stupore, si sente dire da Rita che vorrebbe due fichi maturi e una rosa. La parente se ne va pensierosa, perché in pieno inverno e con la neve, la richiesta è senza senso. Rientra a Roccaporena e nell’orto vede che sul roseto senza foglie e coperto dalla neve è fiorita una rosa e l’albero del fico ha due frutti maturi. Questo episodio segnerà per sempre l’iconografia della santa che viene raffigurata con una rosa tra le mani.
Rita muore serenamente il 22 maggio 1447. La folla accorre intorno al suo corpo per ottenere miracoli e venerarla. Per il grande culto ricevuto non viene mai sepolta. Da allora Rita non smette più di fare miracoli, tanto che le autorità comunali fanno riportare le numerose guarigioni nel Codex miraculorum. Perfino un cieco riacquista la vista. Urbano VIII, che da vescovo di Spoleto, aveva ben conosciuto il messaggio spirituale di Rita, la beatifica il 1° luglio 1628. Leone XIII la canonizza il 24 maggio 1900, definendola «la perla preziosa dell’Umbria».
(nicola gori)
FONTE: L'OSSERVATORE ROMANO
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