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Il giovane dalla gioia trascinante

Il trentennale della beatificazione da parte di Giovanni Paolo II del laico torinese morto a soli ventiquattro anni


Il legame tra Karol Wojtyła e Pier Giorgio Frassati

Due picozze, due sentieri diversi, alle spalle profili di montagne di una bellezza immensa. Scatti di foto di epoche differenti, anche i luoghi non sono gli stessi. Solo il creato, col suo fascino misterioso e avvincente, fa da sfondo comune alle istantanee di due “giovani” che hanno qualcosa di veramente importante da condividere: l’amicizia con Cristo. Due persone che hanno incrociato idealmente le loro vite: Karol Wojtyła e Pier Giorgio Frassati. Santo Pontefice, il primo, del quale si celebra il centenario della nascita; laico beatificato trenta anni fa dallo stesso Papa polacco, il secondo.

Hanno avuto il loro primo punto di contatto a distanza, negli stessi ambienti domenicani. Wojtyŀa ha conosciuto la figura di Pier Giorgio quando da giovane studente ne sentì parlare dai frati predicatori della sua città natale di Wadowice. Da allora, il legame tra i due non si è mai interrotto. Complice anche l’affinità tra la vicenda di Pier Giorgio — morto prematuramente a causa di poliomielite fulminante contratta durante le sue tante visite ai poveri della Torino dei primi anni del XX secolo — e quella del fratello maggiore di Wojtyŀa, Edmund. Anche lui morto in soli quattro giorni a causa di una scarlattina presa in ospedale dove curava i malati. Edmund era un medico che, ben consapevole dei rischi che correva nel servizio ai contagiosi, si dedicò corpo e anima alla sua professione. Pier Giorgio fu vittima del suo instancabile amore al prossimo e non meno lo fu Edmund. Due vite stroncate dal desiderio di aiutare gli altri.

Per Wojtyŀa guardare a Pier Giorgio era un po’ come ricordare suo fratello, del quale conservò lo stetoscopio sulla propria scrivania. I punti di incontro tra Karol e il ricco borghese torinese divennero sempre più numerosi. Le parole di Frassati — «ogni giorno m’innamoro sempre più delle montagne e vorrei, se i miei studi me lo permettessero, passare intere giornate a contemplare in quell’aria pura la grandezza del Creatore» — potrebbero benissimo essere sottoscritte dal Papa polacco.

L’amore per le montagne e il creato è comune ai due e ne avrebbe fatto dei compagni solidali e instancabili nello scalare le cime. Sicuramente, il sacerdote Wojtyła lo avrebbe chiamato a far parte del gruppo środowisko, cioè “l’ambiente”, formato da giovani studenti che tra una sciata e l’altra riflettevano sulla fede e sul Vangelo. Un gruppo creato quasi sulla falsariga di quello dei “Tipi loschi” ideato da Frassati per coinvolgere i suoi amici nell’amore per la Casa comune e nella fede in Cristo, spingendoli ad agire per far diventare i principi espressioni concrete di carità. Il parroco Wojtyła proponeva agli studenti l’esempio di quel Frassati, laico terziario domenicano, iscritto alle Conferenze di San Vincenzo e alla Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci), quale modello di cristiano impegnato nel sociale e nel servizio ai fratelli più bisognosi. Un modello di vita fedele al Vangelo che Wojtyła, una volta nominato arcivescovo di Cracovia, non finirà di indicare ai giovani, come fece, il 27 marzo 1977, durante l’inaugurazione della mostra su Pier Giorgio promossa dai domenicani. «Frassati — disse in quell’occasione — può essere considerato, seppure non ancora salito agli altari, come un patrono, la guida spirituale della gioventù accademica, anche di quella dell’attuale generazione». L’allora cardinale di Cracovia lo considerò patrono dei giovani, prima ancora che fosse portato a termine il processo canonico di beatificazione. Ricordiamo che l’iter giuridico fu aperto nel 1932 dalla Chiesa torinese, ma fu molto ostacolato e travagliato. Venne sospeso, finché non fu ripreso da Paolo VI, che aveva conosciuto di persona Frassati. E fu portato a compimento proprio da Giovanni Paolo II, che il 20 maggio 1990 proclamò beato Pier Giorgio. Sempre durante l’inaugurazione della mostra, il cardinale Wojtyła presentò la figura di Frassati come «l’uomo delle otto beatitudini, che reca con sé la grazia del Vangelo, della Buona Novella, la gioia della salvezza offertaci da Cristo, in se stesso per tutti i giorni, come ognuno di voi; come un vero giovane uomo, studente, ragazzo, vostro coetaneo — disse rivolto ai giovani — per queste tre generazioni. Andate, e osservate come era l’uomo delle otto beatitudini». Wojtyła indicava in Pier Giorgio il giovane che non tramonta, che non muore mai, perché ha radicato la sua vita in Cristo e a lui è attaccato come i tralci alla vite.

Una volta eletto Papa, Karol strinse ancor di più il suo legame con Pier Giorgio. Lo vedeva come il giovane della gioia trascinante, della realizzazione delle promesse fatte da Gesù nel Vangelo, lo riteneva un modello per quanti volevano dedicarsi ai poveri e ai malati, ma anche partecipare alla vita politica e sociale del proprio Paese per riflettervi i principi cristiani della dottrina della Chiesa. Quando Giovanni Paolo II si recò a Torino, il 13 aprile 1980, non perse occasione per accostare la figura di Pier Giorgio a don Bosco, il primo come “vero giovane cristiano”, il secondo come “vero educatore”. In quell’occasione, il Pontefice ribadì uno dei motivi per cui ammirava la figura del giovane torinese: «Aperto ai problemi della cultura, dello sport, un alpinista». Attento alle questioni sociali, ai valori veri della vita, era allo stesso tempo «uomo profondamente credente, nutrito del messaggio evangelico, solidissimo nel carattere, coerente, appassionato nel servire i fratelli, consumato in un ardore di carità che lo portava ad avvicinare secondo un ordine di precedenza assoluta i poveri ed i malati».

Non si era ancora concluso il processo canonico di beatificazione che Papa Wojtyła continuava a indicare l’esempio di Pier Giorgio ai giovani del nostro tempo. Una volta lo fece durante la visita al Centro internazionale giovanile San Lorenzo, il 13 marzo 1983. «Dell’esempio di San Francesco — disse in quell’occasione — voglio ricordarvi come stimolo a tendere verso alti ideali anche la figura di un giovane vissuto nella nostra epoca, Pier Giorgio Frassati». Lo indicò come un giovane “moderno”, sottolineando che egli aveva «vissuto le Beatitudini del Vangelo». Ancora una volta il Papa polacco evidenziò l’importanza della testimonianza di vita offerta da Frassati. E vi fu un altro aspetto particolare messo in evidenza da Giovanni Paolo II a proposito di Pier Giorgio: operatore di pace. Così lo definì durante l’incontro per il giubileo internazionale degli sportivi, svoltosi allo stadio Olimpico di Roma il 12 aprile 1984. Pier Giorgio poteva essere annoverato a pieno titolo tra gli sportivi, come «un valente alpinista e un provetto sciatore». Il Pontefice ricordò una frase scritta dopo la prima guerra mondiale: «Con la carità si semina negli uomini la pace, ma non la pace del mondo, bensì la vera pace che solo la fede di Cristo ci può dare, affratellandoci». Il Papa lo indicò come un programma, affinché «in ogni luogo della terra — disse ai numerosi presenti — siate anche voi portatori della vera pace di Cristo!».

Vi è un’altra affinità tra Wojtyła e Frassati: il loro amore all’Eucaristia. Il beato trascorreva ore davanti al Santissimo Sacramento nel duomo di Torino, e così Wojtyła, prima da parroco, poi da vescovo e infine da Papa, passava in preghiera moltissimo tempo. Entrambi gli «sportivi, giovani e atleti di Cristo», possono essere definiti uomini di preghiera. Giovanni Paolo II, nel corso della beatificazione di Pier Giorgio, avvenuta in piazza San Pietro il 20 maggio 1990, fece notare il segreto dello zelo apostolico e della santità di Frassati, che va ricercato nell’itinerario ascetico e spirituale da lui percorso, cioè «nella preghiera, nella perseverante adorazione, anche notturna, del Santissimo Sacramento, nella sua sete della Parola di Dio, scrutata nei testi biblici; nella serena accettazione delle difficoltà della vita anche familiari; nella castità vissuta come disciplina ilare e senza compromessi; nella predilezione quotidiana per il silenzio e la “normalità” dell’esistenza».

Non si può non far riferimento alla devozione alla Vergine Maria che accomunava Pier Giorgio e Giovanni Paolo II, il Papa del Totus tuus. Frassati amava lasciare Torino e recarsi spesso al santuario mariano di Oropa per pregare la Vergine; e Wojtyła era solito affidarsi tutto se stesso alla Madonna nel santuario di Kalwaria. Due santuari mariani che univano il santo e il beato nel loro tenero affidamento alla Madre di Dio. Così come i loro sentieri si erano incrociati sulle montagne, nella penombra dell’adorazione eucaristica e nell’amore al creato, si ritrovarono sempre nella devozione a Maria, tanto da renderli simili nel loro fare della Madonna la cifra dell’esistenza.

Sarebbe stato opportuno celebrare in maniera adeguata il duplice anniversario del centenario della nascita di Karol Wojtyła e i trenta anni dalla beatificazione di Pier Giorgio, ma a causa dell’emergenza sanitaria per il covid-19 non è stato possibile. Tuttavia, don Paolo Asolan, preside del Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Hominis, ha rivolto una lettera agli amici di Frassati, nella quale ricorda, tra l’altro, come Wojtyła avesse letto la biografia del beato scritta da don Antonio Cojazzi quand’era giovane. «Anch’io, nella mia giovinezza — disse Giovanni Paolo II alla presenza della sorella di Frassati, Luciana Gawronska, nel cimitero di Pollone, il 16 luglio 1989 — ho sentito il benefico influsso del suo esempio e, da studente, sono rimasto impressionato dalla forza della sua testimonianza cristiana». Rivelò così, ha scritto don Asolan, «la durata e la forza del legame che lo univa al suo uomo delle beatitudini: un’impressione eccezionale che lo aveva segnato, modellato». In effetti, nello stile pastorale «aperto, dinamico, umanamente ricco e schietto, per nulla clericale, e tuttavia pieno di quella fede evidente e di quella preghiera» che «erano propri del Papa polacco, c’è molto dello stile e delle caratteristiche umane e spirituali di Pier Giorgio». Chi li conosce entrambi «lo vede facilmente, perfino nell’amore per la montagna e gli sci».

Don Asolan ha anche immaginato come adesso, uniti in Cielo nella comunione dei santi, si parleranno: una realtà che si può soltanto immaginare, «per quello che le nostre umane esperienze ci possono concedere». E, tuttavia, «pensarci e rappresentarcelo con gli occhi della fede ci può rendere partecipi di quell’amicizia, cioè di quella vita». Essa può lasciare anche in noi «un benefico influsso, un’impressione che ci dà forma. Cosa, questa, di cui abbiamo certamente bisogno: per rendere bella la nostra esistenza e per metterla a servizio del mondo, quel mondo complicato e secolarizzato in mezzo al quale anche Frassati è passato irradiando tutta la forza della sua carità». 

(nicola gori)


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