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Papa Francesco: la missione non è “auto-promozione” degli apparati ecclesiali

Messaggio del Vescovo di Roma alle Pontificie Opere Missionarie: «Cristo stesso testimonia sé stesso mediante le opere che compie in noi e con noi»



Ci sono dei «connotati genetici» che lo stesso Spirito Santo trasmette all’opera missionaria della Chiesa, rendendo la confessione delle fede cristiana «un’altra cosa» rispetto a ogni forma di «proselitismo politico o culturale, psicologico o religioso». Questi tratti originari si devono poter rintracciare nella fisionomia e nelle concrete modalità operative di tutti gli organismi ecclesiali, a partire da quelli impegnati direttamente sul fronte della missione e dell’annuncio del Vangelo, se non si vuole alimentare il meccanismo assurdo di una “missionarietà autoreferenziale”, che passa il tempo «a contemplare e auto-incensarsi per le proprie iniziative», «creare mondi paralleli, o «costruire bolle mediatiche in cui far riecheggiare i propri slogan», in una frenesia da auto-promozione permanente. È questo il “messaggio nella bottiglia” contenuto nel lungo testo indirizzato oggi da Papa Francesco alle Pontificie Opere Missionarie, “braccio operativo” della Congregazione di Propaganda Fide, nella solennità dell’Ascensione del Signore. «Gesù, prima di andar via», scrive il Papa all’inizio del suo lungo messaggio, prendendo spunto dalla festa cristiana di oggi «ha detto ai suoi che avrebbe mandato loro lo Spirito, il Consolatore. E così ha consegnato allo Spirito anche l’opera apostolica della Chiesa, per tutta la storia, fino al suo ritorno». Cristo stesso, con il suo Spirito - insiste il Papa, indicando ancora una volta il vero “protagonista” dell’opera apostolica – «testimonia sé stesso mediante le opere che compie in noi e con noi». E il primo “effetto” del suo operare è la gioia degli apostoli tra le tribolazione, la «gioia grande» delle povere donne che la mattina di Pasqua «incontrarono Gesù Risorto, e corsero a dirlo agli altri». Una gioia cosi «uno non se la può dare da solo», annota il Papa. E il problema è che nella Chiesa il richiamo all’operare reale dello Spirito Santo «rimane solo come un postulato teorico, una formula astratta». Una sorta di «“omaggio formale” alla Santissima Trinità, una formula convenzionale introduttiva per interventi teologici e piani pastorali».

Nel nuovo documento, il Papa mostra come tale riconoscimento di realtà offre criteri oggettivi e concreti per configurare e orientare le scelte e il modus operandi di apparati ecclesiali. Con flessibilità, senza rigidezze. 

Nel testo, il Papa ripropone in maniera sintetica i tratti che connotano il dinamismo missionario della Chiesa, già esposti nella Esortazione Apostolica “programmatica” Evangelii Gaudium. Il Pontefice ripete che si diventa cristiani per attrattiva, non per proselitismo; ricorda che solo il mistero dell’incontro con Cristo può portare ad annunciare il suo Vangelo, e che tale opera «non può iniziare che in uno slancio di gioia, di gratitudine», segnata dal crisma della gratuità, e non va quindi concepita come «una specie di “obbligo contrattuale” dei battezzati». Accenna al fatto che chi segue Gesù imita in tutto lui che è «mite e umile di cuore», e quindi è aberrante pensare di diffondere il cristianesimo «esercitando arroganza come singoli e attraverso gli apparati». Per questo – ripete il Papa – la Chiesa non può essere una “dogana spirituale”, e non si devono «aggiungere pesi inutili» o imporre agli altri «cammini di formazione sofisticati e affannosi per godere di ciò che il Signore dona con facilità».

Fuori da ogni astrazione intellettuale o spiritualista, il Vescovo di Roma fa presente che l’orizzonte della missione della Chiesa è l’ordinarietà della vita quotidiana, e non i cenacoli elitari, e che Cristo stesso ha toccato i cuori dei suoi primi discepoli sulle rive del mare di Galilea, mentre stavano lavorando, e «non li ha incontrati a un convegno, o a un seminario di formazione, o al tempio». Un’immagine proposta per evidenziare che l’incontro reale con Cristo avviene di solito nella vita in atto, e non negli eventi organizzati o nelle mobilitazioni a cui costringere i propri “militanti”.

Alla rete missionaria delle Pom, Papa Francesco non indica la strada di plateali riforme o cambi di direzione. L’invito è quello di «fare bene il vostro lavoro», e a non complicare ciò che è semplice, offrendosi come strumento al servizio del Papa e delle Chiese locali, senza «fare congetture e teorizzare su super-strateghi o “centrali direttive” della missione, a cui delegare, come a presunti e immodesti “depositari” della dimensione missionaria della Chiesa, l’impresa di ridestare lo spirito missionario o di dare patenti di missionarietà agli altri». Ai membri delle Pontificie Opere missionarie, il Papa indica piuttosto la strada di un “ritorno alle sorgenti”, nel segno della elementarità evangelica. Le Pom - ricorda il Papa - «sono nate spontaneamente, dal fervore missionario espresso dalla fede dei battezzati. C’è e permane una consonanza intima, una familiarità tra le Opere Missionarie e il sensus fidei infallibile in credendo del Popolo fedele di Dio». Per questo conviene alle Pom ritrovare questa loro matrice “popolare”, rinnovare la propria “immanenza” al Popolo di Dio «anche curando o provando a reintegrare la capillarità dell’azione e dei contatti delle Pom, nel suo intrecciarsi alla rete ecclesiale (diocesi, parrocchie, comunità, gruppi)». Per il Papa serve calarsi nella realtà per «dare risposte a domande ed esigenze reali, più che formulare e moltiplicare proposte. Forse nel corpo a corpo con la vita in atto, e non dai cenacoli chiusi, o dalle analisi teoriche sulle proprie dinamiche interne – avverte il Papa - possono arrivare anche intuizioni utili per cambiare e migliorare le proprie procedure operative, adattandole ai diversi contesti e alle diverse circostanze».

Un altro suggerimento fondamentale è quello di custodire «l’impianto essenziale delle Pom» legato «alle pratiche della preghiera e della raccolta di risorse per la missione, prezioso e caro proprio per la sua elementarità e la sua concretezza. Esso - fa presente il Papa - «esprime l’affinità delle POM con la fede del Popolo di Dio: Preghiere al Signore perché apra Lui i cuori al Vangelo, e suppliche a tutti affinché sostengano anche concretamente l’opera missionaria». Una semplicità e una concretezza ancora più opportune «nel tempo presente, in cui anche nella circostanza del flagello della pandemia si avverte dovunque il desiderio di incontrare e rimanere vicino a tutto ciò che è semplicemente Chiesa».

Secondo l’attuale Successore di Pietro, anche il vincolo speciale che unisce le Pontificie Opere al Vescovo di Roma va custodito come bene prezioso, anche perché costituisce per le Pom una sponda di libertà, «che aiuta tutti a sottrarsi a mode passeggere, appiattimenti su scuole di pensiero unilaterali o omologazioni culturali di impronta neo-colonialista». Le Pom, diffuse nei cinque Continenti, riflettono la ricchezza plurale delle Chiese locali, e a giudizio del Papa occorre respingere la tentazione di «standardizzare la forma dell’annuncio, magari puntando tutto su clichè e slogan che vanno di moda in certi circoli di certi Paesi culturalmente o politicamente dominanti». Il legame speciale che unisce le Pom al Papa va comunque declinato nel segno del servizio e della gratuità, come partecipazione alla missione del «servo dei servi di Dio», e non va usato per rivendicare primazie o «marcare i “propri territori”».

Sulla raccolta di risorse per aiutare la missione, il Papa ricorda il pericolo di trasformare le Pom in una Ong, ma sottolinea anche che tutto «dipende dal cuore con cui si fanno le cose, più che dalle cose che si fanno». In alcuni casi «può essere certo consigliabile e addirittura opportuno utilizzare con creatività anche metodologie aggiornate di reperimento dei finanziamenti da parte di potenziali e benemeriti sovventori». Ma se in alcune aree la raccolta di donazioni viene meno, anche per l’affievolirsi della memoria cristiana, «la sofferenza per il venir meno della fede e anche per il calare delle risorse non va rimossa, va messa nelle mani del Signore. E comunque è bene che la richiesta di offerte per le missioni continui a essere rivolta prioritariamente a tutta la moltitudine dei battezzati», perché «la Chiesa continua da sempre ad andare avanti anche grazie all’obolo della vedova, al contributo di tutta quella schiera innumerevole di persone che si sentono guarite e consolate da Gesù e che per questo, per il traboccare della gratitudine, donano quello che hanno». Il Papa invita a non cedere «a complessi di inferiorità o tentazioni di emulazione verso quelle organizzazioni super-funzionali che raccolgono fondi per cause giuste, poi utilizzati in buona percentuale per finanziare il proprio apparato e per fare pubblicità al proprio marchio». In merito alle procedure strutturali del funzionamento delle Opere Missionarie, il messaggio pontificio invita a tener presente che «un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, può complicare la dinamica missionaria. E anche un’articolazione su scala puramente nazionale delle iniziative mette a repentaglio la fisionomia stessa» della rete delle Pom, oscurando «lo scambio di doni tra Chiese e comunità locali vissuto come frutto e segno tangibile della carità tra i fratelli, nella comunione con il Vescovo di Roma».

Il messaggio del Pontefice assume toni incalzanti quando indica le patologie che possono attecchire negli apparati ecclesiali quando l’invocazione allo Spirito Santo si riduce «a un postulato sterile e ridondante delle nostre riunioni e delle nostre omelie». Il Pontefice richiama l’autoreferenzialità di entità ecclesiastiche sempre tese «alla propria auto-promozione e alla celebrazione in chiave pubblicitaria delle proprie iniziative», il dirigismo di «organismi sorti per aiutare le comunità ecclesiali» che col tempo pretendono di «esercitare supremazie e funzioni di controllo nei confronti delle comunità che dovrebbero servire». Il documento pontificio si sofferma sul pericolo di gruppi a percepirsi come parte di «una classe superiore di specialisti che cerca di allargare i propri spazi in complicità o in competizione con altre elite ecclesiastiche». O le malattie del funzionalismo e dell’astrazione, in cui cadono coloro che moltiplicano «inutili luoghi di elaborazione strategica, per produrre progetti e linee-guida che servono solo come strumenti di autopromozione di chi li inventa».

«È evidente, dal messaggio alle Pom – scrive su Vatican News Andrea Tornielli, direttore editoriale dei Media della Santa Sede - l’intento del Papa di destrutturare e possibilmente archiviare la tendenza a considerare la missione come qualcosa di elitario, da indirizzare e dirigere mediante programmi a tavolino applicando strategie, che ottengano una “presa di coscienza” attraverso ragionamenti, richiami, militanze, addestramenti. Risulta altrettanto evidente – aggiunge Tornielli - che il Vescovo di Roma considera questo un rischio presente e dunque le sue parole hanno una valenza che va ben al di là delle Pontificie Opere Missionarie, alle quali sono dirette».

Quello delle Pom – scrive il Papa nella parte conclusiva del suo messaggio - «è un servizio reso al fervore apostolico, cioè a uno slancio di vita teologale che solo lo Spirito Santo può operare nel Popolo di Dio. Voi pensate a fare bene il vostro lavoro, “come se tutto dipendesse da voi, sapendo che in realtà tutto dipende da Dio” (S. Ignazio di Loyola)».

Domenico Agasso Jr

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