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Coronavirus, l’appello della Cei: “Autorizzate funerali, battesimi e matrimoni”

«Torniamo nelle chiese, in tanti ne hanno bisogno» dice il sottosegretario della Conferenza episcopale italiana. Proposti l’impiego di volontari, la restrizione del numero di presenti e la partecipazione alle cerimonie solo di parenti stretti.


Messe con volontari che garantiscano le distanze, funerali, battesimi e matrimoni con la presenza dei familiari stretti, qualche incontro di comunità facendo uso dei dispositivi di protezione. La Conferenza episcopale italiana (Cei) ha pronto «un pacchetto di proposte» che verrà illustrato questa settimana al governo. «Con tutta l'attenzione richiesta dall'emergenza dobbiamo tornare ad “abitare” la Chiesa, il Paese ne ha un profondo bisogno, c'è una domanda enorme e rispondere significa dare un contributo alla coesione sociale», dice il sottosegretario Cei don Ivan Maffeis.
Il Covid-19 ha obbligato a una serrata anche per quanto riguarda messe e celebrazioni. I parroci trasmettono le funzioni via web. I riti pasquali sono stati a porte chiuse. Per molti fedeli una sofferenza nella sofferenza. Il sentimento più «intenso che accompagna la gran parte dei cristiani è perciò quello dello spaesamento, dato da una profonda assenza e da un innaturale silenzio», racconta don Roberto Repole, direttore della Facoltà teologica di Torino e già presidente dei teologi italiani. In queste settimane convulse, nella galassia cattolica ci sono delle «minoranze, anche se molto rumorose nel mondo della comunicazione», che si sono mostrate molto preoccupate di rimanere «vigili rispetto a delle possibili limitazioni nella celebrazione della Pasqua e dell'eucaristia domenicale; qualcuno si spinge ad affermare» polemicamente «che sarebbe mancato il coraggio alla Chiesa, specie ai suoi pastori», spiega Repole. A questi malumori ha risposto indirettamente monsignor Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e vicepresidente della Cei: «Noi Chiesa non siamo affatto proni alle decisioni di un governo. Il governo prende le decisioni nel suo campo e lì si ferma e si deve fermare. Ma noi abbiamo delle ragioni nostre».

In ogni caso, la Cei vuole riprendere, se pur con modalità diverse dal passato e fino a quando non finisca l'emergenza, la vita ecclesiale. I dettagli sono allo studio ma il principio fondamentale resta quello del rispetto delle distanze, della igienizzazione dei locali e dell'uso dei dispositivi di sicurezza (mascherine, guanti) nei casi in cui sia necessario. Così, con numeri contingentati, da far rispettare attraverso l'opera di volontari, si potrebbe riprendere dopo il 3 maggio la pratica liturgica.

«Sappiamo tutti che il 4 maggio - dice Maffeis - l'emergenza non sarà finita ma se aspettiamo che finisca l'emergenza possiamo mettere in soffitta per sempre la vita ecclesiale. Per questo chiediamo che ci venga riconosciuta la possibilità di riprendere, certamente senza sconti, sarebbe irresponsabile. Però noi chiediamo che venga data una risposta alle attese di tanta gente».

Il primo passo già si vedrà a partire dalla messa di domenica 19 aprile. La richiesta dei vescovi italiani, di celebrare la Settimana santa con un minimo di persone, con accanto al celebrante la partecipazione di un diacono, di chi serve all'altare, oltre che di un lettore, un cantore, un organista ed, eventualmente, due operatori per la trasmissione, resta. «Non si torna indietro anche perché abbiamo dimostrato che si può celebrare in sicurezza», spiega don Maffeis. Come anche restano aperte le chiese per la preghiera personale nel rispetto della distanza di almeno un metro.

«Nel frattempo, e in vista della nuova fase che si aprirà dopo il 3 maggio, si è a lavoro a contatto con le Istituzioni governative, per definire un percorso meno condizionato all'accesso e alle celebrazioni liturgiche per i fedeli».

I rapporti «quotidiani», come sottolinea il sottosegretario Cei, sono con la Presidenza del Consiglio, ma anche con i ministeri, come Interni, Scuola, Famiglia, per i vari aspetti specifici. «Una delle cose che ci sta più a cuore - sottolinea don Maffeis - è il congedo dei defunti. Non possiamo lasciare che una intera generazione, e i loro familiari, siano privati del conforto sacramentale e degli affetti, scomparendo dalla vita, e improvvisamente diventando invisibili. Ci deve essere la possibilità di celebrare i funerali, magari solo con i familiari stretti, non possiamo non essere vicino a chi soffre. Troppe persone stanno soffrendo perché la morte di un caro oggi è come un sequestro di persona, certo motivato, ma dobbiamo farci carico di questo dolore dal punto di vista umano oltre che cristiano».

Sul tema delle esequie aveva espresso la sua sofferenza anche il cardinale Matteo Zuppi, che nella recente intervista a La Stampa ha parlato della «solitudine di chi muore. È il rammarico più grande che ho, e mi fa soffrire tanto. I racconti dei parenti che hanno visto il loro caro andare via su una barella, poi solo più una telefonata dei sanitari per la comunicazione del decesso. Non hanno potuto stare vicino al proprio familiare, accudirlo, salutarlo un’ultima volta. Sono scene che fanno piangere, addolorano nel dolore. E poi, non trascuriamo l’assenza di funerali: le comunità non hanno potuto dire addio agli amici che se ne sono andati. Anche il vuoto delle esequie ci ricorda che non possiamo non essere una comunità».

Maffeis oggi si esprime anche sul tema delle scuole paritarie in emergenza coronavirus. «Allo Stato non si chiedono privilegi né elemosina, ma di riconoscere il servizio pubblico che le scuole paritarie assicurano. Intervenire oggi, con un fondo straordinario destinato alle realtà scolastiche o con forme di sostegno quali la detraibilità delle rette alle famiglie, è l'ultima campanella: se questa suonasse senza esito, diverrà un puro esercizio accademico fermarsi a discutere circa il patrimonio assicurato al Paese da un sistema scolastico integrato». Lo scrive su Avvenire, il quotidiano della Cei. La Chiesa, «forte della sua tradizione educativa, ha a cuore la scuola tutta - premette Maffeis - In queste settimane, le voci dei vescovi si sono unite a quelle di tante associazioni di genitori per rappresentare la forte preoccupazione circa la stessa tenuta del sistema delle paritarie. Se già ieri erano in difficoltà sul piano della sostenibilità economica, oggi, con le famiglie che hanno smesso di pagare le rette a fronte di un servizio chiuso dalle disposizioni conseguenti all'emergenza sanitaria, rischiano di non aver più la forza di riaprire». Sottolinea l'esponente della Cei: «Dietro le parole, c'è il volto di centinaia di migliaia di alunni e di migliaia di dipendenti; la ricchezza di un presidio educativo unico; ci sono i princìpi centrali in democrazia di libertà educativa e di sussidiarietà». Inoltre, dal punto di vista dei criteri di investimento, «la prospettiva di una scomparsa delle scuole paritarie, oltre che un oggettivo impoverimento culturale, costituirebbe un aggravio di alcuni miliardi di euro all'anno sul bilancio della collettività. Senza aggiungere che, chiuse le paritarie, ci si troverà ad affrontare la mancanza di servizi con cui supplirle».

Domenico Agasso JR

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