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5. Il nome della Pace - Don Tonino, La voce della povertà, il Racconto

«Chi ama la pace non ha paura di dire come stanno le cose, anche quando le sue parole rovinano la digestione dei potenti».



Per il vescovo di Molfetta gli impegni cominciarono a moltiplicarsi sul finire del 1985, quando la nomina a presidente di Pax Christi lo vedrà protagonista di tante battaglie a difesa della pace. Fu il cardinale Ballestrero, all’epoca presidente del consiglio permanente della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), a promuovere don Tonino Bello alla guida di quel movimento cattolico internazionale. La scelta su quella nomina non era stata del tutto facile. Basti pensare che dal 1978 all’85 nessun vescovo aveva occupato quel ruolo lasciato libero da mons. Luigi Bettazzi.
Sei anni di attesa, dunque, lasciano supporre come don Tonino sia stato scelto perché ritenuto l’uomo giusto al posto giusto. Ed i fatti lo dimostreranno subito. Nemmeno il tempo di insediarsi alla guida di Pax Christi, che don Tonino veniva coinvolto, seppure alla larga, da polemiche le cui origini si trascinavano ormai da tempo: obiezione di coscienza al servizio militare, obiezione fiscale, guerra alla guerra, erano i temi scottanti di un accesissimo confronto dialettico tra Stato ed Associazioni pacifiste. E le difese di don Tonino nei confronti di mons. Bettazzi, l’unico vero bersaglio della stampa particolarmente laica, lo indussero a scontrarsi con Indro Montanelli, allora direttore de “Il Giornale”, il quale attraverso l’articolo di fondo ridicolizzava Bettazzi. Don Tonino non accettò minimamente quella provocazione, e manifestava al noto giornalista «il più amaro disgusto per ciò che lei ha scritto del vescovo mons. Bettazzi e che dell’articolo di fondo ha solo il fondo». La replica di Montanelli: «Nostro est giornale non quaresimale».
Furono, perciò, molte le delusioni che il vescovo molfettese collezionò a causa del suo immenso impegno pacifista. D’altronde faceva il suo dovere di vescovo, difendeva e promuoveva il nome della Pace contrapponendolo a quello della guerra, delle armi, della violenza. E può, addirittura, sembrare strano come le sue dichiarazioni scomode abbiano più volte infastidito persino le grandi personalità della Chiesa cattolica! Ciò è dimostrato da una lettera che David Maria Turoldo (un altro grande profeta di questo secolo) scrisse a don Tonino, per manifestargli la sua solidarietà: «...Mi dicono che sei stato richiamato, per le tue scelte, per i tuoi interventi, che non è bene parlare troppo contro le armi. Ebbene, non solo ti sono vicino, ma oso perfino darti un consiglio: a maggior ragione intervieni, intervieni sempre di più; e insieme dì che sei stato richiamato, dillo pubblicamente; perché di questo hanno paura. Sono anche vili, come sappiamo. Se non intervieni, se non dici pubblicamente come stanno le cose, ti andrà sempre peggio. E loro diventeranno sempre più arroganti. Appunto perché sono vili: cioè, forte con i deboli e deboli coi forti».
Con don Tonino, inoltre, nascerà anche una “letteratura della pace”. È vero che il suo esempio precedeva sempre la parola, ma è altrettanto vero che quella sua parola, impetuosa e coinvolgente, era sorgente di bellissime frasi oltre che di credibilità, per molti soltanto utopia. La pace, diceva il vescovo mons. Bello, «non è un semplice vocabolo, ma un vocabolario». E perciò i suoi discorsi, le sue omelie, le sue preghiere erano orientate a mettere in luce i diversi significati della pace. «Sul terreno della pace», ribadiva don Tonino, «non ci sarà mai un fischio finale che chiuda la partita: bisognerà sempre giocare ulteriori tempi supplementari». La pace era per lui un cammino, «e per giunta cammino in salita»; era il perdono, «solo chi perdona può parlare di pace e teorizzare sulla non violenza»; la pace per don Tonino era solidarietà, «non è solo il silenzio delle armi, o l’isolamento di chi non manca di nulla. La pace è comunione»; la pace era soprattutto verità, «chi ama la pace non ha paura di dire come stanno le cose, anche quando le sue parole rovinano la digestione dei potenti». Ma don Tonino sapeva altresì bene quale pace additare agli uomini. Era consapevole che «la pace la vogliono tutti, anche i criminali, perché nessuno è così spudoratamente perverso, da dichiararsi amante della guerra». Per questa ragione invitava tutti a «non scommettere sulla pace che non venga dall’alto, perché inquinata»; a non scommettere «sulla pace non connotata da scelte storiche concrete, perché è un bluff»; a non fidarsi della pace «che prenda le distanze dalla giustizia, perché è peggio della guerra»; a non promuovere una pace «che si proclami estranea al problema della salvaguardia del creato, perché è amputata»; a non scommettere, inoltre, sulla pace «che sorrida sulla radicalità della non violenza, perché è infida»; a non osare una pace «che non provochi sofferenza, perché è sterile»; e, infine, don Tonino affermava di non scommettere «sulla pace come “prodotto finito”, perché scoraggia».
Si può certamente ben dire che don Tonino sia stato l’annuncio totale della pace, e come ha sottolineato don Gianni Novelli (dirigente nazionale di Pax Christi), «don Tonino ha riportato i temi, l’ansia, i modi concreti, le iniziative, i movimenti per la pace all’interno della Chiesa». A confermare questa asserzione è Raniero La Valle il quale, nel periodo più atroce della guerra nella ex Jugoslavia, ebbe il coraggio di annunciare che «non c’è, oggi, un Tonino Bello che faccia appello alle coscienze, che cerchi di risvegliare la Chiesa, che dia coraggio agli altri vescovi perché prendano la parola; che sappia infondere la fiducia nella efficacia anche storica della pace».
L’impegno per la pace seppure è stato il lato forte del ministero episcopale, non ha messo però in ombra altri aspetti determinanti di don Tonino. Il suo lavoro di vescovo nella Chiesa locale, per esempio, merita di essere analizzato per quanto ha saputo condensare nei suoi progetti pastorali. E il documento più importante che racchiude l’esigenza del vescovo molfettese di “riordinare” la diocesi, è “Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi”. Sono tre le ragioni di questo progetto pastorale, e che don Tonino definisce luci di posizione: evangelizzazione, spiritualità, scelta degli ultimi. Occorreva innanzitutto privilegiare l’evangelizzazione, e questo per migliorare la qualità della vita cristiana. «Per le nostre Chiese locali», affermava don Tonino, «si tratterà di un trapasso difficile, perché accompagnato dal rimpianto per qualche cosa che dovremo pure avere il coraggio di lasciare». Ristabilire il primato della spiritualità era il secondo obiettivo, perché «non è difficile percepire che essa è la grande assente nelle nostre comunità». E, infine, era necessario che ogni azione partisse dagli ultimi. Scriverà don Tonino che «i poveri sono il punto di partenza di ogni servizio da rendere all’uomo», e per questo bisogna «mettersi in corpo l’occhio del povero [...] per condividere con gli ultimi la nostra ricchezza e la loro povertà»; e per lottare con loro «non basta il buon cuore, occorre il buon cervello»; ed è anche necessario «stimolare una formazione politica seria per il nostro popolo, senza la quale i poveri si trasformeranno in massa manovrabile da parte di coloro che hanno in mano le leve del potere economico, politico e culturale».
Da qui si può dedurre con facilità come il progetto sui poveri sia già un progetto di pace. Fare dei poveri la base, il fulcro e il centro di un progetto pastorale dai contorni religiosi, politici e sociali, vuol dire fare dei poveri un autentico progetto di pace.
Ma chi ha conosciuto don Tonino Bello, può certamente ricordare come la sua vita non l’abbia consumata soltanto a preparare discorsi seri, omelie ben oculate, a partecipare a conferenze, tavole rotonde...
Ci sono stati anche tantissimi momenti in cui il vescovo molfettese ha dato prova di estrema naturalezza, quella naturalezza che è riscontrabile in qualsiasi uomo. E perciò si divertiva a suonare la fisarmonica nei momenti di fraternità con amici, con i giovani, e con quanti gli rendevano visita nel suo appartamento vescovile. Giocava a calcio con i ragazzi del Seminario, improvvisava divertenti giochi di gruppo con i bambini quando andava a trovarli negli asili. Si recava nelle palestre o sui campi da gioco per incoraggiare gli atleti, insegnando loro a comportarsi da veri sportivi. E per questa sua spontaneità, normalità e naturalezza, don Tonino riuscì a conquistare tantissima gente, fuorché una categoria di uomini, quelli a cui si attribuisce il termine “politico”.
(continua)

La presente biografia è stata pubblicata a puntate sul periodico l'altra Molfetta, da dicembre 1995 a novembre 1996. Successivamente i testi, ampliati e approfonditi dallo stesso autore, sono stati pubblicati (con una ricca documentazione fotografica) in volume edito da Luce e Vita nella Collana Quaderni.

Sergio Magarelli

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