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7. Una crisi di cuori - Don Tonino, La voce della povertà, il Racconto

«La pace è dono. Anzi, per-dono. Un dono per. Un dono moltiplicato. Un dono di Dio che, quando giunge al destinatario, deve portare anche il con-dono del fratello».


Il 2 agosto 1990 accade qualcosa che veramente sa dell’incredibile: ha inizio la crisi del Golfo Persico. Le truppe irachene occupano il Kuwait minacciando la sua indipendenza. E l’8 agosto il governo iracheno proclama l’annessione, considerando il Kuwait quale diciannovesima provincia dell’Iraq. Seppure fuori da ogni logica, l’invasione del Kuwait era stata giustificata dall’Iraq in virtù di alcune sue pretese territoriali risalenti al 1961, anno in cui lo stesso Kuwait ottenne l’indipendenza.
Ma non può ritenersi valida questa giustificazione perché successivamente al 1961, precisamente il 4 ottobre 1963, l’Iraq e il Kuwait raggiunsero e firmarono a Bagdad un accordo nel quale si stabiliva che: «La Repubblica dell’Iraq riconosce l’indipendenza e la piena sovranità dello Stato del Kuwait, delimitato nella maniera che si trova indicata nella lettera del Primo ministro dell’Iraq del 21 luglio 1932 e che è stata accettata dal governatore del Kuwait nella sua lettera del 10 agosto 1930». Cade, perciò, ogni tentativo da parte del governo iracheno di considerare legittima l’invasione del Kuwait, e ciò nonostante Saddam Hussein non ritira le sue truppe dal piccolo Stato occupato.
Non dimentichiamo che il Kuwait è uno Stato ricchissimo, specialmente per la produzione di petrolio. Ecco perché la sua occupazione preoccupò tutti i Paesi europei, gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e altri Paesi che si ritrovarono insieme, come non mai, a controllare, a gestire e a decidere su quella crisi dagli sviluppi indecifrabili.
Le Nazioni Unite riuscirono ad adottare, nello stesso giorno dell’occupazione del Kuwait, una risoluzione (n. 660) che condannava l’invasione irachena del Kuwait, esigendo che l’Iraq ritirasse «immediatamente e senza condizioni tutte le sue forze militari nelle posizioni in cui si trovavano il 1º agosto 1990». Questa risoluzione confermava la violazione da parte dell’Iraq dell’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, vale a dire il divieto dell’uso della forza.
Seguiranno altre dieci risoluzioni adottate dal consiglio di Sicurezza dell’ONU per cercare di risolvere la crisi del Golfo. E malgrado l'istituzione dell’embargo economico e militare nei confronti dell’Iraq, quest’ultimo non si impegnò per scongiurare l’intervento militare. Si arrivò così alla risoluzione n. 678 del 29 novembre 1990, allorquando l’ONU autorizzava gli Stati membri che cooperano con il governo del Kuwait, se entro il 15 gennaio 1991 l’Iraq non avesse pienamente applicato le risoluzioni, «ad usare tutti i mezzi necessari per far rispettare ed applicare la risoluzione 660 e tutte le successive pertinenti risoluzioni e ristabilire la pace e la sicurezza internazionale». In poche parole si autorizzava il ricorso alla forza. Povero don Tonino! Proprio lui che si era dato un gran daffare per scongiurare il pericolo della guerra, ora si trovava a dover gestire una crisi di cuori. Le prime considerazioni le scrive sul periodico “Chiesa Nuova”: «Come si prevedeva. Alcuni muri sono caduti, altri si sono innalzati. Non abbiamo fatto in tempo a rallegrarci per lo sfaldarsi degli antichi blocchi contrapposti, che già se ne sono creati degli altri e, con l’emergere di nuovi equilibri, si sono evidenziate anche nuove e drammatiche tensioni».
Sin da quel 2 agosto, don Tonino aveva seguito con attenzione e dispiacere l’evolversi della crisi, e a chi lo interrogava per saperne di più il vescovo gli presentava chiara e senza mezze parole la sua diagnosi: «La crisi del Golfo Persico sta esprimendo un conflitto in cui l’Occidente industrializzato ridefinisce i suoi rapporti di forza con un Sud (e quello arabo rappresenta il Sud più rivendicativo in virtù delle sue risorse energetiche), che chiede di poter uscire da una collocazione storica di subalternità. Non illudiamoci: questo è il vero problema. Mascherato, se vogliamo, con le ragioni del diritto. Ma, in fondo, il contendere si riduce lì: controllare le fonti energetiche indispensabili agli interessi vitali delle società industrializzate, e mantenere tale controllo con la violenza e con la guerra permanente».
Aveva ragione don Tonino, ma come farlo capire alla gente, ai politici, ai governanti, alle Nazioni? Quale “risoluzione” può adottare un vescovo contro la guerra?
«Forse la crisi del Golfo», diceva don Tonino, «non si sblocca perché un pauroso deficit di preghiera evidenzia una crisi più pericolosa del cuore».
E tormentato dall’idea fissa della guerra, il 16 settembre 1990 don Tonino scrisse una prima lettera ai parlamentari italiani per offrire loro «alcune riflessioni per il discernimento delle scelte da compiere, utili a scongiurare il pericolo vicinissimo di uno scontro militare, dalle conseguenze imprevedibili, nella convinzione che esista ancora, e sia ampio, il margine per una soluzione politica e nonviolenta del conflitto mediorientale».
Non si dava per vinto, si spostava di città in città per spiegare l’assurdità di questa crisi, scriveva su giornali e riviste, partecipava a trasmissioni televisive spiegando i suoi giudizi, le sue opinioni, le sue posizioni contro la guerra.
Intanto si avvicinava il 15 gennaio 1991, giorno in cui scadeva l’ultimatum, e don Tonino si accorgeva che la guerra era sempre più vicina, e che le sue parole non erano state ascoltate da nessuno. Ma non si arrendeva, anzi il 13 gennaio inviò una seconda lettera ai parlamentari.
«Onorevoli Parlamentari», scriveva, «domani vi riunirete per prendere importanti decisioni riguardanti la partecipazione dell’Italia a un conflitto armato, che sembra ormai imminente nel Golfo Persico. Il popolo italiano, che voi leggittimamente rappresentate, in questi giorni ha espresso in mille modi il suo viscerale rifiuto della guerra. Con innumerevoli manifestazioni pubbliche, nelle piazze, per le strade, nelle chiese, con appelli, marce, veglie e preghiere, ha reso onore allo spirito profetico della Costituzione e ha sottratto ai cavilli di tortuosi esegesi il nudo parlar chiaro dell’articolo 11 secondo cui «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»... Come cristiani, poi, ci sentiamo in dovere di ricordare, senza operazioni di sconto, che uccidere è sempre un gesto immorale e contrario al Vangelo».
Una lettera, quindi, ben dosata e provocatoria al punto giusto. La conferma vien data dalle parole con cui don Tonino concludeva la lettera: «Risparmiatevi, vi preghiamo, la sofferta decisione, quale “extrema ratio”, di dover esortare direttamente i soldati, nel caso deprecabile di guerra, a riconsiderare secondo la propria coscienza la enorme gravità morale dell’uso delle armi che essi hanno in pugno».
Per queste parole don Tonino fu accusato di incitamento alla diserzione, fu deriso dalla stampa che lo definiva “il teologo della diserzione”, fu considerato un pazzo e ancor di più...
Niente da fare. La guerra tanto scongiurata dal vescovo molfettese non fu evitata. La cosiddetta “Tempesta nel deserto” cominciò le prime operazioni.
Sempre costretto dagli avvenimenti a non poter fare più di quanto desiderasse, don Tonino pensava al dopo. «Penso di poter dire», ribadiva il vescovo, «che “l’idea della guerra” risulta nettamente perdente, se non sui tavoli delle cancellerie, o sulle planimetrie dei generali, almeno nella coscienza popolare. Ed è per questo che non dobbiamo demordere».
L’idea della pace e della nonviolenza in lui non si spegneranno mai. «Questo è il compito che ci attende nel giorno dopo», affermava don Tonino, «perché se anche il Signore ci vorrà dare la gioia di veder subito tutte le spade rimesse nel fodero, ma dovessimo lasciare il mondo così scombinato in fatto di giustizia e di solidarietà, non faremmo altro che rimandare il problema, e allungare il collo di bottiglia nel quale ci siamo cacciati».
La risoluzione n. 686 del 2 marzo 1991 sancisce la fine delle ostilità, e in virtù di essa l’Iraq deve abrogare tutte le misure prese al fine di ammettere il Kuwait. Deve, inoltre, accettare la propria responsabilità in base al diritto internazionale per ogni perdita, danno o pregiudizio derivante nei riguardi del Kuwait; deve sospendere le azioni ostili e di provocazione da parte delle sue forze contro tutti gli Stati membri dell’ONU. Infine l’Iraq deve rispettare tutte le risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza.
Il Kuwait così fu liberato, e il ritorno del suo legittimo governo segnò la fine di quella grave crisi internazionale. Rimarrà quella dei cuori.
(continua)

La presente biografia è stata pubblicata a puntate sul periodico l'altra Molfetta, da dicembre 1995 a novembre 1996. Successivamente i testi, ampliati e approfonditi dallo stesso autore, sono stati pubblicati (con una ricca documentazione fotografica) in volume edito da Luce e Vita nella Collana Quaderni.

Sergio Magarelli

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