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4. Una Chiesa povera - Don Tonino, La voce della povertà, il Racconto

«Ed eccoci all’immagine che mi piace intitolare “la chiesa del grembiule”. La chiesa del grembiule non totalizza indici altissimi di consenso. Però è l’unica porta che ci introduce nella casa della credibilità perduta. Solo se avremo servito, potremo parlare e saremo creduti».


Dopo il lunghissimo episcopato di Achille Salvucci (1935-1978), il più lungo del nostro secolo, e quello transitorio di Aldo Garzia (1975-1982), Molfetta si preparava ad accogliere il nuovo vescovo. L’ingresso nella diocesi avvenne il 21 novembre 1982, festa della presentazione di Maria al Tempio. Sul sacrato della Cattedrale il sindaco molfettese, Beniamino Finocchiaro, e tutte le altre autorità civili di Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi pronunciarono i discorsi di saluto e di benvenuto al nuovo Pastore. È inutile nascondere la curiosità dei fedeli convenuti in chiesa per quella rara occasione. La maggior parte di essi era già informata sulla “diversità” di don Tonino, del suo strano modo di vestire diverso da altri vescovi, del suo tono di voce tutt’altro che imponente o pomposo.
Ma la convinzione che quel vescovo avrebbe “dirottato” la Chiesa molfettese verso altre strade, si ebbe durante l’omelia che don Tonino preparò per quella solenne cerimonia. In evidente stato di imbarazzo, don Tonino esordì con queste parole: «Dio solo sa come in questo momento vorrei essere libero dalla preoccupazione di dovervi fare un discorso “intelligente”, uno di quei discorsi tra le cui righe ci si senta poi autorizzati a leggere orientamenti e prospettive, a spiare svolte o ristagni, a intuire speranze o involuzioni». Ma il suo programma pastorale sarà denso di prospettive, svolte e speranze; tutt’altro, insomma, che ristagni o involuzioni. Ancora nel suo discorso, don Tonino concluse così: «Eccomi, cari fratelli. Nel giorno della presentazione di Maria al Tempio, mi presento anch’io a questo tempio umano, fatto di pietre vive, glorioso di tradizioni di fede e di impegno, carico di Storia e di cultura. Accoglietemi come fratello e amico, oltre che come Padre e Pastore. Liberatemi da tutto ciò che può ingombrare la mia povertà. Di mio non ho molte cose da darvi. Però nella mia valigia ho due cose buone. La prima me l’ha messa il Signore: ed è la sua Parola. [...] E poi c’è un’altra cosa. Ed è la tenerezza, la sofferenza, la fede, l’amore, la speranza indistruttibile della mia piccola stupenda Chiesa d’origine».
Quelle non furono solo parole. L’azione seguì ben presto al pensiero. La gente imparò a conoscerlo per strada, nei locali pubblici, nel salone del barbiere. Si interessava dei problemi dei più sfortunati, impegnandosi in prima persona a risolverli. Un esempio eclatante che don Tonino riuscì a dare, a pochi mesi dalla sua elezione a vescovo, fu quando egli stesso partecipò allo sciopero che gli operai delle ferriere di Giovinazzo attuarono per la chiusura dello stabilimento. In un suo messaggio assicurò loro che: «la Chiesa ha un compito e una competenza che nessuno ci può contestare, quello di schierarci con gli ultimi. E in questo momento gli ultimi siete voi».
Per gli operai in agitazione, don Tonino prelevò undici milioni di lire dal fondo per la costruzione delle chiese; seguì l’intera vicenda, anche giudiziaria, tra lo stupore degli stessi operai, increduli a riconoscere quell’uomo nei panni di un vescovo. Si avvicinava, poi, alle persone comuni, parlava con loro, si intratteneva anche diverse ore e solo quando andava via la gente capiva che quel loro interlocutore era nientedimeno che il vescovo, don Tonino Bello. A “qualcuno”, però, non piaceva il comportamento di don Tonino, considerando le sue azioni non all’altezza di un vescovo. Ciò forse perché abituato ad altre concezioni di essere e fare il vescovo. In ogni modo don Tonino continuava a comportarsi come sempre. Anzi, intensificò ulteriormente i suoi aiuti verso coloro che versavano in condizioni pietose. Aprì le porte del suo appartamento vescovile agli sfrattati, a chi aveva bisogno di una casa, di un po’ di pane, o anche solo di un po’ di affetto. E non lo faceva per pietismo, ma soltanto perché era convinto che i poveri potevano essere «i veri araldi» della speranza.
La sua era e doveva essere una Chiesa povera, una Chiesa sempre al servizio di tutti. Da qui nascerà poi l’espressione che lo stesso don Tonino diede alla sua Chiesa: «Ed eccoci all’immagine che mi piace intitolare “la chiesa del grembiule”. La chiesa del grembiule non totalizza indici altissimi di consenso. Però è l’unica porta che ci introduce nella casa della credibilità perduta. Solo se avremo servito, potremo parlare e saremo creduti».
E il suo servizio era ormai evidente a tutti. Un impegno senza sosta. Fu lui a volere e a far nascere nel 1985, nei pressi della provinciale Ruvo-Terlizzi, la C.A.S.A. (Comunità di Accoglienza e Solidarietà “Apulia”) con la collaborazione di don Nino Prudente che ne diventerà direttore.
L’obiettivo di quella iniziativa era, ed è tuttora, quello di recuperare e rieducare i giovani tossicodipendenti, preparandoli attraverso il lavoro ad un nuovo inserimento nella società. Molto lavoro fu svolto da don Tonino per quella iniziativa, e don Prudente spiegherà con queste parole l’impegno del vescovo: «La Comunità C.A.S.A. deve molto a don Tonino. Egli si è impegnato in prima persona anche dal punto di vista economico, facendo pazzie per una somma di oltre quattrocento milioni. Spesse volte di sera o di notte mi telefonava e andavamo a raccogliere alla stazione di Molfetta dei barboni, alcolizzati, a rischio personale».
Con la collaborazione di qualche sacerdote, don Tonino istituì a Ruvo una Casa di accoglienza per extracomunitari. A Molfetta, invece, per sua iniziativa nacque la “Casa per la pace”. Erano le azioni, dunque, a precedere i discorsi, che perciò diventavano credibili. Erano i poveri, comunque, la passione di don Tonino. Per loro orientò tutto il suo magistero episcopale, e fu felice quando eletto vescovo capì che era giunto per lui il momento di mettersi al loro servizio: «Grazie, terra mia, piccola e povera, che mi hai fatto nascere povero come te, ma che, proprio per questo, mi hai dato la ricchezza incomparabile di capire i poveri e di potermi oggi disporre a servirli».
I molti avvenimenti tristi che accaddero nei primi tempi del suo ministero episcopale, gli diedero la possibilità di scrivere bellissime lettere. Dirà Donato Valli che don Tonino attraverso lo stile epistolare «entra in contatto con gli uomini veri che gli sono di fronte, ma anche con gli uomini di tutti i tempi». Ma chi sono questi uomini? Semplice. Massimo il ladro, ucciso a Molfetta la notte dell’8 gennaio 1985, e che sulla sua fossa don Tonino accese una lampada; Giuseppe l’avanzo di galera, alla cui libertà don Tonino ha brindato; Mario la guardia campestre ucciso a Ruvo il 14 novembre 1986, a cui don Tonino ha auspicato la nascita di un fiore sulla viottola di campagna irrigata dal suo sangue; ogni fratello marocchino, invitato da don Tonino a fermarsi a casa sua. E poi altri ancora: Antonio il pescatore, Peppino l’ubriaco, Marta la scheda, Mohamed il diverso...
Tutte storie di uomini a cui don Tonino ha prestato un po’ della sua, mescolandosi con loro. Anche ai lontani, a chi per diversi motivi ha dovuto lasciare la propria terra per cercare fortuna altrove. Così si spiegano i suoi numerosi viaggi oltreoceano, alla ricerca di volti molfettesi che la storia ha voluto allontanare. E dalla sua prima esperienza in Australia, don Tonino compila un rapporto pastorale sull’emigrazione molfettese, “Sotto la croce del sud”.
Un messaggio forte viene trasmesso ai molfettesi in Australia, parole che contano più di una lezione di catechesi: «Il Vangelo vale più del dollaro. L’amore vale più della macchina», dirà don Tonino, e ancora: «Non lasciatevi sedurre dal piatto di lenticchie per cui svendere i valori della vostra cultura d’origine: l’amore per la giustizia, il gusto del dialogo, la gioia di condividere». Ben presto diventò popolare anche all’estero, mentre a Molfetta era già entrato nel cuore della gente. Tutti lo cercavano, chiedendo a lui aiuto o conforto. Era diventato pure il personaggio più corteggiato da stampa e televisione, che a turno si accontentavano di articoli o di interviste. Era ormai fuori discussione la straordinarietà del vescovo che, senza trascurare gli impegni diocesani, partecipava a conferenze, dibattiti, tavole rotonde...
Roma, Torino, Bologna ed altre città d’Italia divennero le mete di frequenti trasferte a cui il vescovo molfettese non rinunciava. In poco più di due o tre anni era conosciuto da tutti, non si faceva altro che parlare di lui. Ma questa notorietà mise in guardia gli ambienti “romani”, che iniziarono a seguire con più interesse ed attenzione le sue iniziative. Del resto, non mancarono occasioni per cui don Tonino fu chiamato a dare spiegazioni sul suo operato.
(continua)

La presente biografia è stata pubblicata a puntate sul periodico l'altra Molfetta, da dicembre 1995 a novembre 1996. Successivamente i testi, ampliati e approfonditi dallo stesso autore, sono stati pubblicati (con una ricca documentazione fotografica) in volume edito da Luce e Vita nella Collana Quaderni.

Sergio Magarelli


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