Nella catechesi dell’udienza generale in Piazza San Pietro, il Papa richiama la vicenda dei discepoli di Emmaus per evidenziare come la risurrezione si manifesta in modo umile e Cristo si fa trovare proprio nei momenti più difficili della vita. “Nulla di ciò che siamo, nessun frammento della nostra esistenza gli è estraneo”. Per quanto possiamo “sentirci lontani, smarriti o indegni”, afferma il Pontefice, l’amore di Dio è più forte. L'invito a pregare ogni giorno il Rosario per la pace nel mondo
Non c’è storia tanto segnata dalla delusione o dal peccato da non poter essere visitata dalla speranza. Nessuna caduta è definitiva, nessuna notte è eterna, nessuna ferita è destinata a rimanere aperta per sempre
Sono parole di consolazione e conforto quelle con cui il Papa, durante l'udienza generale in Piazza San Pietro, invita a trovare Cristo risorto in tutti gli alti e bassi della vita. “Per quanto possiamo sentirci lontani, smarriti o indegni, non c’è distanza che possa spegnere la forza indefettibile dell’amore di Dio”, afferma il Pontefice nella catechesi di questo mercoledì 8 ottobre, in una piazza assolata e gremita di fedeli, dispiegati fino a Via della Conciliazione. Come sempre, Papa Leone compie un lungo giro in papamobile per salutare le circa 60 mila persone presenti e benedire qualche bambino. Viene accolto anche dai rintocchi di alcune campane portate a San Pietro dai membri dell'Associazione Campanari da Reggio Emilia, che le suonano con entusiasmo al passaggio del Papa.
Linguaggio della prossimità
Dal palco sul sagrato, Leone XIV pronuncia poi la sua riflessione che prosegue il ciclo giubilare sul tema “Gesù Cristo nostra speranza”. In particolare il Papa si sofferma sul Vangelo di Luca che narra la vicenda dei discepoli di Emmaus che si accorgono solo in seguito di aver parlato con il Risorto. Come i discepoli di Emmaus, annota Leone XIV, “noi ci saremmo aspettati effetti speciali, segni di potenza, prove schiaccianti” della risurrezione. Forse avremmo scambiato Cristo per un giardiniere, come Maria di Magdala, o pensato che fosse “un passante qualunque” come Pietro e gli altri pescatori. Ma, prosegue, Gesù è umile, “si avvicina con discrezione, come un viandante qualsiasi” e “preferisce il linguaggio della prossimità, della normalità, della tavola condivisa” per far “scoprire che ogni dolore, se abitato dall’amore, può diventare luogo di comunione”.
Riconoscere Cristo nel quotidiano
Il Papa evidenzia il fatto che “c’è un ostacolo che spesso ci impedisce di riconoscere” la “presenza di Cristo nel quotidiano”, ovvero “la pretesa che la gioia debba essere priva di ferite”. Infatti i discepoli di Emmaus “camminano tristi”, senza sorridere nonostante il sepolcro vuoto, “perché speravano in un altro finale, in un Messia che non conoscesse la croce”. “Ma Gesù si mette accanto a loro e con pazienza li aiuta a comprendere che il dolore non è la smentita della promessa, ma la strada attraverso cui Dio ha manifestato la misura del suo amore”, spiega il Vescovo di Roma. Ribadisce che è proprio questo che il Signore vuole fare con ogni persona:
Il Signore risorto si affianca a ciascuno di noi, proprio mentre percorriamo le nostre strade – quelle del lavoro e dell’impegno, ma anche quelle della sofferenza e della solitudine – e con infinita delicatezza ci chiede di lasciarci riscaldare il cuore
Nulla di ciò che siamo è estraneo a Dio
E infatti Dio “non si impone con clamore, non pretende di essere riconosciuto subito”, ma conosce le debolezze umane e “con pazienza attende il momento in cui i nostri occhi si apriranno per scorgere il suo volto amico, capace di trasformare la delusione in attesa fiduciosa, la tristezza in gratitudine, la rassegnazione in speranza”. Leone XIV riconosce come “a volte pensiamo che il Signore venga a visitarci soltanto nei momenti di raccoglimento o di fervore spirituale, quando ci sentiamo all’altezza, quando la nostra vita appare ordinata e luminosa”. Ma Cristo vuole ribaltare questa logica, per dimostrare come è nelle croci della vita che si scopre il suo amore, prosegue il Papa.
Il Risorto si fa vicino proprio nei luoghi più oscuri: nei nostri fallimenti, nelle relazioni logorate, nelle fatiche quotidiane che ci pesano sulle spalle, nei dubbi che ci scoraggiano. Nulla di ciò che siamo, nessun frammento della nostra esistenza gli è estraneo
La risurrezione cambia il sapore della vita
“La Risurrezione non è un colpo di scena teatrale, è una trasformazione silenziosa che riempie di senso ogni gesto umano”, insiste ancora il Pontefice. “Il Signore risorto non fa nulla di spettacolare per imporsi alla fede dei suoi discepoli. Non si presenta circondato da schiere di angeli, non compie gesti clamorosi, non pronuncia discorsi solenni per svelare i segreti dell’universo”. Invece, chiarisce il Papa, “mangia una porzione di pesce davanti ai suoi discepoli” per confermare come “il nostro corpo, la nostra storia, le nostre relazioni non sono un involucro da gettare via. Sono destinate alla pienezza della vita”. Per Leone XIV, risorgere “non significa diventare spiriti evanescenti” ma entrare “in una comunione più profonda con Dio e con i fratelli, in un’umanità trasfigurata dall’amore”.
Nella Pasqua di Cristo, tutto può diventare grazia. Anche le cose più ordinarie: mangiare, lavorare, aspettare, curare la casa, sostenere un amico. La Risurrezione non sottrae la vita al tempo e alla fatica, ma ne cambia il senso, il “sapore”. Ogni gesto compiuto nella gratitudine e nella comunione anticipa il Regno di Dio
C’è sempre la possibilità di ricominciare
Quando i discepoli di Emmaus si siedono a tavola con Gesù “e spezzano il pane, si aprono gli occhi” e “si accorgono che il loro cuore ardeva già, anche se non lo sapevano”, afferma ancora il Pontefice. “Questa è la sorpresa più grande: scoprire che sotto la cenere del disincanto e della stanchezza c’è sempre una brace viva, che attende solo di essere ravvivata”. Da qui, l'invito ai fedeli a chiedere “la grazia di riconoscere” la presenza “umile e discreta” di Cristo e “di non pretendere una vita senza prove”. “Il Risorto desidera soltanto manifestare la sua presenza, farsi nostro compagno di strada e accendere in noi la certezza che la sua vita è più forte di ogni morte”, conclude il Papa.
Come i discepoli di Emmaus, torniamo anche noi alle nostre case con un cuore che arde di gioia. Una gioia semplice, che non cancella le ferite ma le illumina. Una gioia che nasce dalla certezza che il Signore è vivo, cammina con noi, e ci dona in ogni istante la possibilità di ricominciare
Il saluto ai consacrati e l'invito a pregare il Rosario per la pace
Al termine della catechesi, durante i saluti nelle varie lingue, Papa Leone ha salutato tutti i religiosi, le religiose, i consacrati, i membri di Istituti Secolari presenti in Piazza San Pietro per il Giubileo della Vita Consacrata, al via da oggi fino al 12 ottobre. "Vi ringrazio per il vostro prezioso servizio al Vangelo e alla Chiesa e vi esorto a essere segni eloquenti dell'amore di Dio e strumenti di pace in ogni ambiente. Non stancatevi di testimoniare la speranza sulle tante frontiere del mondo moderno, sapendo individuare con audacia missionaria strade nuove di evangelizzazione e di promozione umana". Nel saluto ai pellegrini di lingua tedesca, il Papa ha ricordato che il mese di ottobre è dedicato alla preghiera del Santo Rosario e ha quindi invitato tutti "a recitare ogni giorno il Rosario per la pace nel mondo".
Isabella H. de Carvalho – Città del Vaticano
FONTE: VATICAN NEWS
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