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L’uomo mandato da Dio a donare splendore ad un mondo malato

Oggi la Chiesa celebra la memoria di san Giovanni Paolo II, il papa che ha messo al centro la famiglia, la teologia del corpo e la dignità del concepito.


16 ottobre 1978, fumata bianca. Ancora intontito dalla repentina scomparsa del “papa del sorriso” Giovanni Paolo I, provo più curiosità che simpatia per il nuovo pontefice. Di cui però mi commuovono quei primi impacci linguistici: “Venuto di un paese lontano… Se sbaglio mi corriggerete”. Ma ci impiegò poco a conquistarci tutti. La domenica successiva, nella messa di inaugurazione del pontificato, sbalordì il mondo con quelle parole scolpite sul niente che sembrava possederci, parole che la sua voce calda da attore rendeva indimenticabili: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo… aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici… Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!». I tanti muri del mondo cominciarono a tremare proprio allora, checché ne dicano oggi i sapientoni incapaci di ogni sorpresa: perché l’economia, la politica, gli eserciti non sono tutto; e anzi qualche volta non sono proprio niente, se non fanno i conti con «cosa è dentro l’uomo». 

Da allora fu la trionfale cavalcata che lo portò a compiere oltre 100 viaggi apostolici (più di tutti gli altri papi messi insieme), affascinando i popoli, scompaginando pigri e consolidate abitudini, parlando parole di bellezza e verità che conquistavano persino gli agnostici. Il cuore del suo pontificato fu la persona umana fatta a immagine e somiglianza di Dio. Per questo il mistero dell’Incarnazione implica un messaggio tanto potente quanto liberante: le parole di Maria dopo l’annunciazione (Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente) «riguardano certamente – dice il Papa nella Mulieris dignitatem (11) – il concepimento del Figlio»; insieme però esse possono significare anche «la scoperta della propria umanità femminile… di tutta la ricchezza… di tutta l’eterna originalità della ‘donna’, così come Dio la volle, persona per se stessa». Di qui una nuova teologia del corpo, che in indimenticabili catechesi illustrava il valore conoscitivo e straniante della sessualità coniugale. Ma anche una ventata di nuova e autentica democrazia, che vedeva ogni persona come con l’occhio di Dio, fine e non mezzo. A partire dal concepito, per il quale è dopo tutto pronunciato il Magnificat. Il no possente all’aborto (unito al possente amore che si deve alle donne che abortiscono), non solo ripropone la formula del Concilio Vaticano II che vede in quella pratica un «abominevole delitto», ma va oltre: per Giovanni Paolo II ogni manipolazione dell’embrione mina il principio di uguaglianza e la stessa tolleranza illuministica. E lo dimostra con ragionamenti assolutamente laici: «È tale la posta in gioco – scrive nell’Evangelium vitae (61) – che…basterebbe la sola probabilità di trovarsi di fronte a una persona per giustificare la più netta proibizione di ogni intervento volto a sopprimere l’embrione umano». 

Coerente anche la famosa assimilazione delle sorti del concepito a quella di altre categorie storicamente discriminate: «Come un secolo fa ad essere oppressa nei suoi fondamentali diritti era la classe operaia, e la Chiesa con grande coraggio ne prese le difese…così ora, quando un’altra categoria di persone è oppressa nel diritto fondamentale alla vita, la Chiesa sente di dover dare voce con immutato coraggio a chi non ha voce», poiché il suo «è sempre il grido evangelico in difesa dei poveri del mondo, di quanti sono… oppressi nei loro diritti umani» (5). Democrazia, non teocrazia, quella di Giovanni Paolo II, l’uomo mandato da Dio per donare forza e splendore a un mondo malato. 


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