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Coronavirus, nota del Viminale: in chiesa solo se di strada per ufficio e supermercato. Pasqua: chi celebra autocertifichi “lavoro”

Una nota del Ministero dell’Interno inviata alla Cei stabilisce regole per chi vuole recarsi a pregare, sulla possibilità di celebrare i matrimoni durante la pandemia e su come partecipare ai riti della Settimana Santa.

In chiesa a pregare, sì, ci si può andare purché essa si trovi sulla strada che conduce al lavoro, al supermercato o alla farmacia. E i matrimoni? Si possono celebrare ma alla presenza solo del prete, degli sposi e dei testimoni, rispettando naturalmente le distanze tra i celebranti. Stesso discorso per battesimi e funerali: pochissime persone e tutte a un metro e mezzo di distanza l’una dall’altra. A Pasqua i riti potranno essere partecipati solo da celebranti, diaconi e organisti che potranno recarsi in chiesa autocertificando motivi di «lavoro», indicando giorno, ora e indirizzo della chiesa.

Per chiarire i dubbi di migliaia di fedeli in tutta Italia che hanno tartassato in questi giorni vescovi e parroci per capire come muoversi durante la pandemia di coronavirus, soprattutto in vista della Settimana Santa, è arrivata una nota del Ministero dell’Interno che chiarisce una volta per tutte - e senza possibilità di equivoci - in che modo vivere la vita religiosa nel mezzo delle restrizioni imposte dal contagio di Covid-19. Sollecitato dalla Segreteria generale della Cei, che si è fatta portavoce dei quesiti e dei disagi espressi dalle diverse diocesi italiane, il documento è stato stilato dalla Direzione centrale degli Affari dei Culti del Ministero e inviato alle Prefetture. Ha valore su tutto il territorio nazionale e ha la pretesa anche di evitare celebrazioni “clandestine”, come quelle avvenute nei giorni scorsi in provincia di Napoli dove un sacerdote e i partecipanti ad un Battesimo sono stati denunciati dai Carabinieri del luogo per assembramento.

Dalla sua diffusione, nelle scorse ore, la Nota del Viminale - che il quotidiano dei vescovi, Avvenire, indica come «frutto della interlocuzione tra la Segreteria generale della Cei, la presidenza del Consiglio e lo stesso Ministero dell’Interno» -, ha suscitato alcune polemiche tra diversi fedeli e sacerdoti che sono arrivati a parlare di una seria restrizione della libertà religiosa. «Dal tabaccaio a comprare le sigarette posso andare liberamente, in chiesa a pregare invece no?», è stato uno dei commenti più comuni.

Le osservazioni in questione si riferiscono in particolare alle indicazioni nel documento circa la possibilità per i fedeli di uscire di casa, muniti di autocertificazione, per recarsi a pregare in chiesa. La Nota spiega che «è necessario che l’accesso alla chiesa avvenga solo in occasione di spostamenti determinati da comprovate esigenze lavorative, ovvero per situazione di necessità e che la chiesa sia situata lungo il percorso, di modo che, in caso di controllo da parte delle Forze di polizia, possa esibirsi la prescritta autocertificazione o rendere dichiarazione in ordine alla sussistenza di tali specifici motivi». 

In altre parole, si può andare a pregare individualmente solo se ci si trova già fuori casa per lavoro o per andare a fare la spesa e solo se la parrocchia è di strada. Non è certo possibile, in tempo di quarantena, prendere la macchina e andare a pregare nel santuario o nella chiesa intitolata al santo a cui si è devoti dall’altra parte della città.

Il documento chiarisce inoltre che «non è prevista la chiusura delle chiese», salvo «eventuale autonoma decisione dell’autorità ecclesiastica». Un dibattito incendiario, questo, sin dall’inizio dell’epidemia.

Nella nota ministeriale si fa luce anche sulla grande questione dei matrimoni in chiesa. Tante coppie avevano infatti prenotato da oltre un anno una parrocchia per celebrare le nozze: ora cosa fare? Non solo, la Segreteria della Conferenza episcopale italiana domanda al Viminale perché si permettano matrimoni in Comune e non in chiesa. La Nota del Ministero chiarisce che «non sono vietati in sé» i matrimoni in chiesa, ma i riti devono svolgersi «alla sola presenza del celebrante, dei nubendi e dei testimoni e siano rispettate le prescrizioni sulle distanze tra i celebranti». Quindi, nessun parente, nessun fotografo, nessuna damigella e, naturalmente, nessun ricevimento. Il matrimonio in chiesa, si legge nel documento, «non è da ritenersi tra le fattispecie inibite dall’emanazione delle norme in materia di contenimento dell’attuale diffusione epidemica di Covid-19». 

Un altro punto importante toccato nel documento è quello relativo ai riti della Settimana Santa. «Per garantire un minimo di dignità alla celebrazione» durante tutti i riti, si legge, viene “ampliato” il numero dei partecipanti comunque limitato «ai celebranti, al diacono, al lettore, all’organista, al cantore e agli operatori per la trasmissione», considerato che non ci sarà partecipazione di popolo ma tutte le cerimonie vanno trasmesse in tv o online. Ma quale «disposizione dare a queste persone per potersi muovere? Un’autocertificazione?», domanda la Cei. Tutti costoro, precisa il Ministero dell’Interno, «avranno un giustificato motivo per recarsi dalla propria abitazione alla sede ove si svolge la celebrazione» e, qualora coinvolti in controlli della polizia, «attraverso l’esibizione dell’autocertificazione» non incorreranno in contestazioni e sanzioni.

Il servizio liturgico, precisa il Viminale, pur non essendo un lavoro, è assimilabile alle «comprovate esigenze lavorative», pertanto l’autocertificazione dovrà contenere «il giorno e l’ora della celebrazione, oltre che l’indirizzo della chiesa ove la celebrazione si svolge». Resta fermo il fatto che debbano essere rispettate «opportune distanze e cautele».

SALVATORE CERNUZIO

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