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Cattolici e politica. Don Sturzo e il centrismo popolare.

Cattolici e politica. Ci sono spazio e condizioni per ripensare all'esperienza di don Sturzo e del centrismo popolare?


Questa rivista si è fatta promotrice di una riflessione sul ruolo dei cattolici in politica e in modo particolare sulla possibilità che ciò si produca attraverso una “casa comune”. Nel primo articolo sul tema (“Vivere In”, n. 1/2021), Un nuovo spazio per i cattolici in politica, l’Autore partiva dal disagio vissuto da molti cattolici a causa della mancanza di un partito strutturato dove poter esercitare con coerenza la propria vocazione politica, per auspicare una riflessione sulla possibilità che la Chiesa, in prima persona, si faccia soggetto promotore della creazione dello spazio mancante. Nella consapevolezza della delicatezza della questione e sulla scorta dei documenti del Magistero, ci si chiedeva se l'auspicio dell'animazione temporale non richiedesse, nell'attuale condizione storico-sociale della politica italiana, particolarmente frastagliata, la concretezza della presenza dei cattolici in uno spazio unitario. Nel secondo articolo (“Vivere In”, n. 2/2021) sono stati pubblicati alcuni contributi giunti in redazione allo scopo di arricchire la comune riflessione.

Il tema, intrigante ed oggetto di confronto in diverse occasioni in cui si discute la possibilità di un “nuovo centro” nel quadro del sistema politico italiano, è delicato e certamente merita di essere arricchito. A questo scopo ci è sembrato utile proporre ai lettori alcuni passaggi di un famoso articolo di don Luigi Sturzo, intitolato “Il nostro centrismo”, pubblicato il 26.08.1923 sul “Popolo nuovo”, settimanale del “Partito Popolare Italiano”, nel quale si spiegava il centrismo quale terza via rispetto agli estremismi della sinistra e della destra.

Luigi Sturzo, “Il nostro centrismo”
L’accusa che si ripete con insistenza da avversari e da ex-amici è che il partito popolare italiano vada a sinistra, e che non è più un partito di centro. Questa topografia di destra, sinistra e centro deriva da un semplicismo politico, troppo banale; e poiché manca di contenuto specifico, crea confusioni equivoci ed errori, e forma pregiudizi deplorevoli. Vediamo di portare un po’ di ordine in queste idee confuse, anzitutto per intenderci fra di noi, e poi per obbligare gli altri a non fraintenderci, almeno quelli in buona fede, e non sono pochi.

1) Andiamo per eliminazione: il nostro centrismo non è una linea mediana fra i destri e i sinistri, come a dire un colpo alla botte ed uno al cerchio, ovvero una specie di giudizio di Salomone, un’altalena di teoria e di pratica politica, atta a scontentare tutti o a contentare un po’ per uno. Politica da equilibrista, che si ridurrebbe in fondo a non sapere che pesci pigliare ed essere a Dio spiacente ed ai nimici sui. Questa concezione è semplicemente esclusa; sia perché sarebbe un vero nullismo o un semplice opportunismo; sia perché mancherebbe della logica programmatica, che fa discendere, da alcuni principii ideali e da vari postulati fondamentali, le ragioni pratiche dell’azione e le posizioni politiche di lotta e di realizzazione.

2) Altra eliminazione: destra e sinistra nell’interno di un partito, di qualsiasi partito, che abbia un’omogeneità sia pure elementare, cioè quella schematica del programma dello statuto e delle finalità, non possono significare due correnti irriducibili avverse, che ciascuna pretende avere ragione e sopraffare l’altra; poiché in questo caso si tratterebbe di due partiti o di due fazioni; non mai di tendenze nel seno dello stesso partito, sia che tali tendenze fossero stabilizzate attorno ai problemi generali, sia che fossero invece eventuali atteggiamenti su determinate soluzioni.

3) Terza eliminazione: il centrismo dei popolari non è una pura posizione parlamentare, come elemento di equilibrio fra una destra reazionaria e una sinistra socialista, o come semplice integrazione di governi liberali-democratici; simile interpretazione o figurazione topografica è stata smentita dalle diverse combinazioni e dai vari orientamenti dei partiti in quasi cinque anni di esistenza del nostro partito; il quale alla Camera si è trovato per tre anni di seguito (novembre 1919 – ottobre 1922) nella necessità di partecipare a tutti i governi per formare la maggioranza governativa, ed ha cercato di inserire nei vari programmi di governo alcuni dei postulati pratici propri, quali l’esame di Stato, le leggi agrarie, la libertà di commercio, il riconoscimento dei sindacati, la funzione del movimento cooperativo e simili. Per questo il nostro gruppo parlamentare è stato avversato e tollerato dai vari partiti di governo, che avrebbero fatto a meno dell’esistenza di questo terzo incomodo nell’attività parlamentare; ma che per ragioni di numero erano costretti a cercarlo, a blandirlo, per poi spesso sopraffarlo. Questa posizione parlamentare può non ripetersi; ciononostante il nostro partito resterà anche in parlamento un vero partito di centro.

4) Spieghiamo allora cosa intendiamo per centrismo. Per noi il centrismo è lo stesso che popolarismo, in quanto il nostro programma è un programma temperato e non estremo:

– siamo democratici, ma escludiamo le esagerazioni dei demagoghi;

– vogliamo la libertà, ma non cediamo alla tentazione di volere la licenza;

– ammettiamo l’autorità statale, ma neghiamo la dittatura, anche in nome della nazione;

– rispettiamo la proprietà privata, ma ne proclamiamo la funzione sociale;

– vogliamo rispettati e sviluppati i fattori di vita nazionale, ma neghiamo l’imperialismo nazionalista;

e così via, dal primo all’ultimo punto del nostro programma ogni affermazione non è mai assoluta ma relativa, non è per sé stante ma condizionata, non arriva agli estremi ma tiene la via del centro.

Questa posizione non è tattica. È programmatica, cioè non deriva da una posizione pratica di adattamento o di opportunità: ma da una posizione teorica di programma e di idealità. E la ragione di questa posizione teorica ha la sua origine in un presupposto che caratterizza la ragione etica della vita quale la vediamo noi al lume del cristianesimo: noi neghiamo che nella vita presente si possa arrivare ad uno stato perfetto, ad una conquista definitiva, ad un assoluto di bene.

I socialisti dicono: il male viene dall’ordinamento borghese della società; bisogna abbatterlo, dopo verrà il novus ordo: essi sono estremisti, perché arrivano ad una concezione assoluta. I fascisti dicono: la nazione potrà prosperare solo quando sarà “fascistizzata” negli ordinamenti, nel pensiero, nella vita sociale; essi tendono ad un assoluto e quindi sono anch’essi “estremisti”. Chiamiamoli per pura comodità gli uni estremisti di sinistra, gli altri estremisti di destra, e ciò in riferimento alla società borghese; ma la tendenza “monopolista”, “assolutista”, “estremista” è nella natura del loro movimento.

Nel movimento popolare invece non c’è la futura età di Saturno, la città del Sole, il 2000, la repubblica di Platone e simili ottimismi; perché la nostra fede cristiana e il nostro senso storico ci portano a valutare la vita presente come un “relativo” di fronte ad un “assoluto”, e quindi diamo valore fondamentale, anche nella vita pubblica, all’etica, che è per noi norma insopprimibile, e superiore a quella che si chiama “ragion politica” o “ragione economica”; e questo ci dà il senso di relatività, che incentra i problemi, e non li fa come per sé stanti, come fini assoluti da dover raggiungere per un logico predominio e per una ferrea legge.

La mancanza di estremismo programmatico e finalistico, e il suo fondamento etico, che deriva dalla concezione cristiana del popolarismo, contribuiscono fortemente ad escludere nei popolari estremismo di metodo; cioè la realizzazione di mezzi rivoluzionari o violenti o antilegali. E mentre tutti i partiti, che non appoggiano la loro etica sul cristianesimo, possono divenire rivoluzionari, nel senso di sovvertire gli ordinamenti legali con la violenza con l’illegalismo e con la dittatura, il nostro partito non può mai divenire rivoluzionario o violento, e se accede in casi concreti alle ragioni che muovono altri a far le rivoluzioni, esso rimane sempre quello che il consiglio del partito, nell’appello del 20 ottobre 1922 (alla vigilia della marcia su Roma), chiamò riserva morale della nazione! Sempre! Questa è la natura e la ragione sostanziale del nostro centrismo come partito politico.

5) Ma se è così, perché mai ci dicono che il partito ora vada a destra, ora invece vada a sinistra? Lasciamo stare i motivi polemici; ce ne son tanti e servono sempre agli avversari. I socialisti diranno sempre che il partito popolare va a destra, a furia di dirlo, in cinque anni dovremmo essere già all’estrema destra; e lo stesso vale per i liberali conservatori e oggi anche per gli ex-amici; per tutti costoro il partito cominciò ad andare a sinistra appena sorto, e via via avremmo già superato i comunisti: infatti ci dissero un tempo che eravamo peggio dei bolscevichi.

La verità è un’altra: mentre il programma e la natura del partito creano una ragione centrista sia di sostanza che di metodo; la necessità di affermare il partito nella vita e di realizzarne i postulati crea quelle che si chiamano posizioni di battaglia; ed è naturale che ogni posizione di battaglia trovi coloro che resistono e che quindi fanno da antagonisti: altrimenti non vi sarebbe più lotta.

Infatti quando nel 1919 e nel 1920 ci opponemmo agli scioperi generali, i nostri antagonisti furono i socialisti; quando nel 1920 iniziammo la campagna per la colonizzazione del latifondo e la riforma dei patti agricoli, furono gli agrari ed i conservatori; quando nel 1921 iniziammo la lotta contro i provvedimenti finanziari, il nostro antagonista fu Giolitti; quando nel 1922 sostenemmo l’esame di Stato i nostri antagonisti furono i democratici sociali; quando nel presente anno abbiamo combattuto la riforma elettorale politica, i nostri antagonisti sono stati i fascisti.

Destra o sinistra? Ma che c’importa della topografia! Chiamatela come vi pare, per noi è battaglia oggettiva, concreta, logica, che risponde ai nostri principii, ai nostri postulati, alle esigenze politiche del nostro partito. Se nel caso concreto, una nostra posizione di battaglia giovi o nuoccia ad una delle frazioni politiche del paese, sia o non sia opportuna in un determinato momento, tutto ciò fa parte della valutazione politica, che spetta ai dirigenti, ma non sposta la posizione di un partito che segue la sua linea e tenta le sue realizzazioni; anzi manifesta una ragione di polarizzazione di altri partiti e gruppi che vengono così costretti a valutare e rivalutare le posizioni da noi assunte. Solo così siamo noi e tendiamo a far sì che il nostro pensiero e il nostro programma vengano discussi dagli altri, e possano in parte o in tutto realizzarsi. (…)

Ecco che gli uni e gli altri diranno che il centrismo del partito non è stato un bene; e che bisogna andare o a destra o a sinistra. Superate le vostre filìe, abbiate fiducia nel partito popolare, come termine raggiungibile di attività politica e quindi anche di dominio delle nostre idee e delle nostre forze, e allora vi accorgerete che l’attività del partito segue la sua linea, la sua natura, la sua responsabilità puramente centrista, perché popolare. La filìa è come gli occhiali colorati che fanno vedere negli oggetti i colori che non ci sono. Oggi è la volta del sinistrismo del partito; coloro che lo vedono sono proprio i popolari o gli ex-popolari filofascisti. Ieri quegli altri, i sinistri i filo-socialisti, vedevano invece che il mondo popolare andava troppo a destra.

Sono le due piccole ali del partito che fan rumore, perché hanno troppe cose da dire agli altri, e quasi mai delle cose serie e importanti da dire a noi. Questa è la storia, per noi ormai superata, della destra e della sinistra.

Parliamo invece del popolarismo che non piega né a destra e né a sinistra: questo è il nostro partito, il vero partito di centro; in questo partito abbiamo fiducia, e vogliamo che esso superi le difficoltà dell’oggi nella chiara visione del nostro programma e delle nostre finalità politiche e morali.

Dopo la lettura resta comunque da interrogarsi ulteriormente: a chi compete assumere l’iniziativa della costruzione della tanto auspicata “nuova casa”?

In questa nostra ricerca di una nuova “casa comune”; in questo auspicio per una rinnovata presenza dei cattolici in politica in uno spazio unitario; e finanche nel sofferto e certo problematico interrogarsi continuiamo a chiederci chi, concretamente, debba caricarsi il pesante fardello della iniziativa e del cammino.

Si aggiunga a questo un’ulteriore constatazione: la crisi di identità politica della maggioranza silenziosa. Una maggioranza che soffre gli estremismi e che, pur astrattamente disponibile alla civica partecipazione, preferisce evitare di spendere energie in un agone politico fatto sempre più di scontri ed esagerazioni qualunquistiche, di facile presa. Ne sarebbe finanche capace, per interesse e competenze; spesso ed in passato lo ha fatto. Ma oggi non ne può più di vedersi sopraffare non da idee e proposte valutabili, ma da urla, slogan e social bufale. La manca la copertura, la solidarietà, la vicinanza protettrice di un gruppo che la sostenga, la conforti, l’accompagni.

Se mai ve ne fosse bisogno, il risultato delle recenti ultime elezioni amministrative ha mostrato la rilevanza, nella scena politica, della parte moderata che, attraverso l’effetto calmierante che le appartiene, quasi ontologicamente, fugge ed allontana le contrapposizioni radicali. Questa parte moderata va valorizzata. Perché non accada che quella che dovrebbe essere una passione che valga a rendere coerente la propria fede con la presenza attiva ed animatrice della società, venga soffocata, imbavagliata, tentata dal più comodo stare alla finestra.

La nostra opinione – torniamo a sostenerla – è che serva che qualcuno, con riconosciuta autorevolezza, inviti ad allontanarsi da quella finestra e ritornare per strada. Qualcuno che si faccia promotore di incontri non solo finalizzati alla elaborazione di proposte comuni (non che non sia stato fatto, come accaduto nella felice esperienza delle Settimane Sociali e dei relativi incontri preparatori), ma di trasformare la partecipazione ideale e propositiva in gruppi organizzati in grado di condurre quelle proposte nei luoghi istituzionali delle decisioni. Ciò su cui occorre confrontarsi è la concreta modalità operativa.

Eugenio SCAGLIUSI

(pubblicato nella rivista bimestrale "Vivere In", 5/2021, 11 - 15)

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