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Attualità ed originalità del pensiero di Aldo Moro

Incontro organizzato dall’Associzione Giovanni Paolo II di Polignano a Mare





La poliedricità della personalità di Aldo Moro, politico e statista, docente universitario, legatissimo alla propria famiglia, in tutto animato da grande fede cattolica, viene spesso trascurata rispetto agli eventi del suo rapimento ed uccisione da parte delle Brigate Rosse nel 1978.

In questa occasione proveremo a mettere in primo piano il pensiero di Aldo Moro, come concretizzatosi nell’azione politica e della vita accademica. Lo scopo è quello di offrire elementi di riflessione sulla grandezza di un uomo, della originalità ed attualità del suo pensiero.

Parlare di Aldo Moro è complicato. È stato uomo politico, parlamentare e statista, docente universitario, educatore, uomo di cultura, cristiano impegnato in politica. In effetti dispiace che si parli più dei suoi ultimi mesi di vita, che delle sue iniziative ed intuizioni politiche; meno che mai dei suoi insegnamenti.

Se si volesse riassumere in poche battute la personalità di Aldo Moro – con i limiti di ogni riassunto – devono segnalarsi almeno tre caratterizzazioni: la profonda fede cattolica, il legame con la famiglia, il valore della persona al centro di ogni speculazione, con l’adesione di Moro all’umanesimo ispirato a Jacques Maritain. Quest’ultimo aspetto è stato oggetto di una conversazione, a Polignano, in occasione della presentazione del libro del prof. Michele Indellicato, L’umanesimo etico-giuridico nel pensiero di Aldo Moro. Non a caso Indellicato nel suo percorso accademico ha approfondito particolarmente il personalismo francese, soprattutto con studi su Maritain e Mounier.


Si tratta di caratterizzazioni, tutte, vissute e concretizzate nelle varie attività ed aspetti della propria vita con significativa coerenza ed unitarietà. Anche queste, la coerenza e la unitarietà, possono includersi nelle caratterizzazioni; anzi, forse rappresentano quelle fondamentali. Perché Moro è sempre lo stesso, senza mai assumere atteggiamenti, elaborare pensieri, svolgere azioni diverse a seconda di luoghi, tempi e circostanze.

Ecco alcuni brevi spunti di riflessione su i vari aspetti della personalità di Aldo Moro.

1. La profonda fede cattolica
Trascurando la dimensione di fede, Aldo Moro resterebbe incomprensibile.

Qualche anno fa, l’Associazione Giovanni Paolo II si fece promotrice di una conversazione a margine del libro di S.E. Mons. Francesco Savino, Spiritualità e politica, un binomio che riassumeva la vita, l’impegno sociale, la vocazione politica, di tre politici, Aldo Moro, Giorgio La Pira e Dossetti.


Savino si occupava dei tre per mostrare, attraverso di loro, “…i pericoli dell’ignoranza reciproca tra lo spirituale e il politico, suggerendo, nel rispetto di altre posizioni, che le due dimensioni possono e devono nutrirsi a vicenda. …”.

In quel libro, Savino esordisce su Aldo Moro descrivendolo così: cristiano per scelta, leader per vocazione.

Riterrei che sia stata la sua particolare dimensione di fede a consentire ad Aldo Moro quella coerenza cui facevo cenno, quel suo specifico modo di essere in ogni contesto e condizione. Moro era così… ha sempre avuto e mostrato un solo volto…


Ricordo a me stesso come “volto” viene da vultus, che significa “viso, volto”, ma che significa anche “maschera”. Riterrei che – forse – in una sola occasione Moro abbia indossato una “maschera”; lo chiarirò a breve.

Sta di fatto che, salvo – e, ripeto, forse – questa unica eccezione, Aldo Moro ha avuto sempre e solo una unica e precisa identità. In tutto, sia in famiglia, sia con i suoi alunni, sia in Parlamento, sia come uomo di Stato. Finanche con i brigatisti carcerieri.

Di certo nella formazione morotea ha influito molto la spinta al dialogo come strumento di azione politica auspicato dai movimenti intellettuali di azione cattolica, dal FUCI, il movimento dei laureati guidati da Montini (futuro Paolo VI).

2. La persona al centro
La dimensione della persona al centro è diretta conseguenza della formazione giovanile di Aldo Moro, sia come percorso di fede, sia come percorso di studi condizionati dalle letture di filosofi francesi. Tra tutti Maritain e Mounier, ma anche Blondel e Olle Laprune.

Non poteva che essere così per un giovane che, nel particolare contesto storico della vigilia della II guerra mondiale, studiava ed approfondiva il tema dell’umanesimo cristiano, tema legato all’umanesimo integrale di Maritain, il cui testo era stato pubblicato nel 1936. Questa visione, che ha come caratteristica quella di porre a fondamento di ogni speculazione il valore della persona, con il suo alto contenuto valoriale, ha guidato ed ispirato tutta la vita ed il percorso di Moro, sempre.

In maniera altrettanto coerente e conseguente, l’esigenza di Aldo Moro è stata sempre quella di porsi e calarsi interamente dentro la storia degli uomini. La persona, anzi, ogni singolo individuo, anche il più anonimo e sperduto, è pienamente parte della storia e come tale va tutelato. Una visione a lui molto cara, elaborata attraverso lo studio di autori sue fonti privilegiate: Agostino, Vico, Rosmini e Blondel.

Soprattutto, chiunque studi Aldo Moro coglie immediatamente la singolarissima coincidenza di visioni con il filosofo del diritto Giuseppe Capograssi

Non ho elementi per affermare se Moro e Capograssi si fossero conosciuti prima, ma certamente vissero insieme, con altri giuristi cattolici, la straordinaria esperienza della stesura del Codice di Camaldoli (https://eugenioscagliusi.it/tornare-a-camaldoli-chiamata-allassunzione-di-responsabilita/).


Aldo Moro all’epoca era giovanissimo, ma già docente. Aveva appena 24 anni quando, nel 1940, ottenne la cattedra di Filosofia del Diritto. Chiunque voglia approcciarsi allo studio di Aldo Moro, non può non partire da testo delle sue lezioni, tenute nel 1942 e nel 1944, che l’Editore Cacucci pubblicò per la prima volta nel 1978.

3. La docenza ed il personalismo giuridico
Aldo Moro ha sempre accusato l’esigenza della formazione. Per sé, prima ancora che per gli altri e, dunque, per essere in grado di educare gli altri. Non a caso, nonostante i suoi molteplici impegni istituzionali, non volle mai cessare il suo impegno universitario, proseguendo sempre negli incontri e lezioni con gli studenti.

Come ho accennato, alla base del pensiero di Moro c’è una solida base personalistica innervata dall’influenza preponderante della filosofia francese del periodo tra le due guerre. Sintetizzando e calando questa importante caratterizzazione filosofica nel percorso speculativo del docente Aldo Moro, si deve rimarcare l’attenzione e la valorizzazione della storicità dell’esperienza giuridica e della sua rilevanza come momento della più generale e complessiva esperienza morale personale.

L’itinerario speculativo è rivolto alla scoperta ed all’indagine della realtà interiore dell’esperienza giuridica, caratterizzata dalla compresenza e dalla interazione sia di una dimensione intima e personale, di ognuno, di ogni soggetto, sia di una dimensione storica o sociale, a loro volta implicate e condizionate proprio dal volgersi, dello sviluppo, dal cammino, della persona all’interiorità ed alla relazione.

4. La relazione e la ricerca di unità
In un percorso di estrema coerenza, a conferma della basilare propensione al complesso mondo delle relazioni umane attraverso il dialogo, Aldo Moro ribadiva spesso la primaria esigenza di “…avviare verifiche critiche, con la ricerca di punti di raccordo attorno a capisaldi cristianamente ispirati, ed individuati alla luce di una ‘sana laicità’…”. Perché – spiegava – “…l’anima della società è la relazione…”. Essenziali, dunque, per Aldo Moro, il riconoscimento dell’altro ed una risoluta apertura al confronto. Solo in questo modo – insisteva – è possibile “…raggiungere l’unità sociale, continuo processo in svolgimento, sforzo nobilissimo per una conquista da compiere in ogni istante di vita…”, scopo di cui si è fatto fautore indiscusso per tutta la vita.

Non si tratta solo della condivisione di un metodo o di mero ideale di vita, ma di una convinzione profonda, espressa concretamente, nella quotidianità, all’azione ed all’impegno sulla base di una spiritualità radicata, sempre sotto la guida montiniana, nell’insegnamento paolino ed agostiniano, con al centro la necessità di “…superare il conflitto permanente fra il bene e il male, e la complessità della redenzione e della conversione personale.”

Riguardo la necessarietà di ricercare insistentemente l’unità sociale, è significativa l’intervista radiofonica del 22.05.1973 in occasione della morte di Maritain (il 28.04.1973), laddove Moro cita il filosofo francese per richiamare “…il carattere pluralistico, personalistico, comunitario della società, che Maritain propone al cristiano nell’assolvimento del suo compito politico…”, sottolineando come fosse necessario “…fare del mondo un luogo di vita pienamente umana, le cui strutture sociali abbiano come misura la giustizia e la dignità della persona.”

Solo tenendo nella giusta considerazione queste convinzioni di Aldo Moro è possibile comprendere le reali ragioni che lo inducevano ad impegnarsi, anche politicamente, nella ricerca di ogni soluzione possibile, di punti di incontro tra posizioni diverse, di condivisioni equilibrate, applicando anche alla politica le virtualità di apertura e di dialogo. Altre che la banalizzazione delle “convergenze parallele” o del “compromesso storico”, espressioni che – peraltro – non sono mai stati utilizzate da Moro.

5. La pluralità degli ordinamenti giuridici in una società complessa
Con ovvia altrettanta coerenza, il modello di vita di apertura verso l’altro caratterizza anche la parte del pensiero moroteo che riguarda la pluralità degli ordinamenti giuridici, presenti in numero sempre maggiore in una società complessa.

Nel pensiero e nell’azione di Aldo Moro non può che esserci la medesima predisposizione verso ogni ordinamento, verso ogni organismo; senza alcuna distinzione che riguardi la famiglia, la scuola, le istituzioni pubbliche, lo Stato, tutti gli organismi sovranazionali. Così spiegava ai suoi studenti: “La vocazione sociale dell’uomo non si può arbitrariamente restringere nei soli limiti dell’esperienza statuale, ma si deve fare svolgere in tutta la ricchezza di contenuto che essa spontaneamente determina…”. Aggiungendo, poi, come “…Le istituzioni sociali divengono ordinamenti giuridici nella misura in cui sono formate da persone le quali – nel loro agire orientato alla realizzazione del valore dell’azione – inverano l’universale nel particolare, dunque nella dimensione storica.”

Non v’è chi non veda l’estrema coerenza di queste considerazioni che, pur riguardando organismi superiori, trovano origine e valorizzano la premessa da cui occorre partire e siamo partiti: il valore dell’uomo al centro della speculazione. Perché anche gli organismi superiori non sono altro che punto di arrivo, per quanto più complesso, delle più elementari esperienze associative, che – tutte, “…non egoistiche e chiuse, ma aperte e generose…” – vanno favorite quale conseguenza della vocazione universale dell’uomo.

6. Amore dell’uomo per l’uomo
Si sbaglierebbe a considerare tutta questa speculazione come astratta (perché di certo Moro ne rappresenta testimonianza di concretezza di vita) e, soprattutto, a non considerare come essa abbia anche solida validità giuridica. Intanto Moro può scrivere che la persona è “…il principio e fine dell’esperienza giuridica…” perché ha una concezione etica del diritto. È proprio questa concezione etica del diritto, questa riduzione del diritto all’etica, o meglio della Filosofia del Diritto alla Filosofia della Morale, che caratterizza il suo pensiero.


È l’amore che giustifica e regge le relazioni e che, sempre perseguito, va fatto ragione di vita. Tant’è che – scrive Moro, spiegando – “…il diritto fallisce, mancando in quel punto la vita morale, se non conoscessimo le risorse inaspettate della vita sociale e la capacità di redenzione dell’amore dell’uomo per l’uomo.”

Autorevoli studiosi (Danilo Campanella) distinguono quella di Moro come “teologia della politica”, esprimendo in quel della il ruolo della fede cattolica nel vivere civile come ispirazione, non già come imposizione. Per lo statista pugliese, infatti, il “cristiano” deve essere uomo politico non da cristiano, bensì in quanto tale. Questo concetto è necessario per capire come il cristiano, nella riflessione teologico-politica morotea, sia tale solo in quanto partecipante alla vita politica. Una prospettiva inversa, ribaltata, rispetto a quella più comune e tradizionale che auspica l’impegno civico dei credenti in quanto presenti nella vita. Per Moro è l’essere “cristiano” che comporta anche l’essere “politico”.

7. Un solo volto?
Se nel pensiero di Aldo Moro costituisce aspetto primario il valore della persona, non può trascurarsi come, in via generale, proprio la persona è “volto”, vultus, termine più antico per indicare il viso. Ognuno di noi ha un “volto” e non c’è niente di più cangiante e sfuggente del volto, che muta e dal quale traspaiono le emozioni più diverse, caratterizzandosi peraltro dallo “sguardo”. Tanto che volvere, da cui deriva vultus, è il continuo mutamento. Inoltre, il concetto teologico cristiano di persona, così come emerso nelle definizioni dogmatiche cristologiche e trinitarie dei primi concili ecumenici (Efeso, nel 431; Calcedonia 451) è proprio il traslato della parola greca che esprime il volto, cioè πρόσωπον (prósopon) e che in latino manca di una parola diversa, poiché la parola corrispondente persona indicava invece la maschera dell’attore, e per traslato, il personaggio da lui interpretato; dunque, senza quindi più riferimento alla finzione scenica.

Questa premessa è necessaria perché, nel corso di studi preliminari alla scrittura di un mio libro, mi è capitato di chiedermi se mai Aldo Moro avesse avuto un “doppio volto”; se mai, pur da persona estremamente coerente, abbia tuttavia indossato una “maschera”. Così, ho scoperto una incredibile somiglianza tra due foto: quella storica, famosissima, che ritrae Aldo Moro nella cosiddetta “prigione del popolo” delle Brigate Rosse (del 19.03.1978) ed un quadro del 1923 del francese George Rouault dal titolo Qui se ne grime pas? cioè Chi non si è mai dipinto un volto?.


Il quadro di Rouault fa parte di una suite incisoria chiamata Miserere che costituisce una straordinaria meditazione pittorica sulla sofferenza umana, sofferenza tanto insopportabile, quanto priva di ragioni. Il soggetto rappresentato nel Qui ne se grime pas? è un clown, immagine estrema dell’uomo del tempo, costretto a truccarsi per poter sopravvivere; costretto a sorridere, nonostante il suo spirito, cioè quello di un uomo che veder scorrere sotto i suoi occhi l’assurdità della Prima Guerra Mondiali e delle tensioni successive; che nasconde sotto quel trucco, quella maschera, il volto dell’uomo impotente, assoggettato a un triste destino. Un volto prostrato, stanco, addolorato.

È incredibile la somiglianza tra le due foto. Sia figurativa, sia di significato.

Il volto di Aldo Moro ed il volto del clown di Rouault scorrono sulla stessa diagonale; un poco chino, offrono a chi li vede uno sguardo pietoso, triste, in preda a un sorriso forzato. L’occhio destro è appena più aperto. Non cambia la natura tragica della scena.

Anche Moro, come quel clown, viveva, in occasione di quella foto, una particolare condizione di sofferenza, tanto innaturale quanto tragica ed inspiegabile.

Incredibile coincidenza, l’intera collezione del Miserere di Rouault rappresentò una importante occasione di critica morale e sociale e fu accostato allo spiritismo ed esistenzialismo di Maritain, che di Rouault era caro amico.

Forse quella foto testimonia l’unica occasione in cui Aldo Moro ha indossato una maschera, così celando il suo vero ed unico volto…

8. Conclusione
Gli organizzatori di questo incontro ci interrogano sulla originalità e sulla attualità del pensiero di Aldo Moro.

Sulla originalità proprio non può dubitarsi. Una originalità che riguarda sia il più ampio aspetto della personalità, sia il calzante, caratterizzante, pienamente legittimo inserimento di Aldo Moro nella tradizione culturale del personalismo giuridico. Una tradizione che meriterebbe, oggi, maggiori attenzioni, sia dal mondo accademico come da qualsiasi formatore delle nuove generazioni.

La nota dolente, è forse, l’attualità. Perché non sono in grado di comprendere se e quanto questo stesso “mondo accademico” e le nuove generazioni siano pronte a calarsi realmente nelle caratterizzazioni morotee. E forse questa è la sfida maggiore per coloro i quali, invece, ritengono – ben più opportunamente – che Aldo Moro vada studiato, tramandato e scelto quale esempio di vita. Riterrei ve ne sia tantissimo bisogno. Se non altro per ricordare correttamente Aldo Moro e non più i suoi bugiardi fanatici terroristi assassini, da obliare, se non per consegnarli alle pagine più buie e tristi della storia.


(Per quanto sia decisamente opportuna la lettura diretta degli scritti di Aldo Moro, per approfondimenti immediati si consiglia la lettura del saggio di Leonardo Brancaccio, Aldo Moro, il politico, il professore, il filosofo del diritto)

EUGENIO SCAGLIUSI

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