Le parole di Papa Francesco a conclusione della seconda sessione della XVI Assemblea del Sinodo dei vescovi.
Il documento finale della seconda sessione della sedicesima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che si è tenuto dal 2 al 27 ottobre 2024, è per Papa Francesco un triplice dono, ha detto il pontefice sabato nell’aula Paolo VI nel suo saluto finale ai partecipanti. È un dono per lui, che ha avuto bisogno di vescovi e testimoni del cammino sinodale. È un dono per tutto il popolo fedele di Dio nella varietà delle sue espressioni, che dovrà essere accompagnato da prelati e tanti altri nella comprensione del documento per non fargli perdere molto del suo valore. È un dono dello Spirito Santo, colui che è e fa l’armonia.
«La visione del Profeta Isaia ci invita a immaginare [il Regno di Dio] come un banchetto preparato da Dio per tutti i popoli. Tutti, nella speranza che non manchi nessuno. Tutti, tutti, tutti! Nessuno fuori, tutti. E la parola chiave è questa: l’armonia. Quello che fa lo Spirito, la prima manifestazione forte, il mattino di Pentecoste, è armonizzare tutte quelle differenze, tutte quelle lingue… Armonia. È ciò che il Concilio Vaticano II insegna quando dice che la Chiesa è “come sacramento”: essa è segno e strumento dell’attesa di Dio che ha già apparecchiato la mensa, e attende. La sua Grazia, tramite il suo Spirito, sussurra nel cuore di ciascuno parole di amore. A noi è dato di amplificare la voce di questo sussurro, senza ostacolarlo; ad aprire le porte, senza erigere muri».
Domenica il Papa ha celebrato nella basilica di San Pietro la messa a conclusione dell’assemblea sinodale e nell’omelia ha fatto un parallelo tra la Chiesa e la storia del cieco Bartimeo, che all’inizio «sedeva lungo la strada a mendicare» (Mc 10,46), mentre alla fine, dopo aver chiamato Gesù che, unico che si ferma a dargli attenzione, gli ridà la vista, «lo seguiva lungo la strada» (v. 52). La condizione iniziale del mendicante, fermo al margine della società in attesa di ricevere qualcosa dai passanti, è quella di chi non vive, perché vivere vuol dire essere in movimento. Lui rappresenta «quella cecità interiore che ci blocca, ci fa restare seduti, ci rende immobili ai bordi della vita, senza più speranza». Lo stesso discorso vale per una Chiesa impreparata ad affrontare le sfide della realtà, ma il Signore passa e bisogna avere la capacità di sentirlo passare.
Bartimeo, dopo aver riconosciuto l’opera di Dio nella propria vita, si mette a seguire Gesù. Così noi quando, anche come Chiesa, ci sentiamo senza forze, coraggio e audacia, dobbiamo ricordarci di ritornare sempre a Dio, che ci fa uscire dalla cecità per permetterci di riprendere il cammino sulla strada. Quindi Francesco ha detto: «Questa è un’immagine della Chiesa sinodale: il Signore ci chiama, ci rialza quando siamo seduti o caduti, ci fa riacquistare una vista nuova, affinché alla luce del Vangelo possiamo vedere le inquietudini e le sofferenze del mondo; e così, rimessi in piedi dal Signore, sperimentiamo la gioia di seguirlo lungo la strada», non chiusi nelle comodità o nei labirinti delle proprie idee, ricordandoci di camminare insieme agli altri dietro a Lui e con Lui.
FONTE:RETESICOMORO
Commenti
Posta un commento