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“La meta è la felicità”. I pensieri improvvisi di Giovanni Paolo II

Gli inediti del pontefice polacco scritti prima di divenire vescovo di Roma. Con la prefazione di papa Francesco


«Oggi viviamo in tempi in cui i seguaci di Cristo sono talvolta umiliati, picchiati in faccia. Bisogna essere in grado di sopportarlo. La fede in quei momenti dà a volte un potere sovrumano».

Questo è uno dei 366 pensieri di Karol Wojtyla in gran parte inediti in Italia che compongono la raccolta La meta è la felicità. I passi sono scelti tra omelie, incontri, frammenti di opere teatrali, lezioni precedenti alla nomina di Pontefice scritti durante l’attività accademica a Lublino. L’opera si apre con le parole di papa Francesco nella prefazione: «Non si può comprendere fino in fondo san Giovanni Paolo II se non si conosce Karol Wojtyla».

L’opera dà un assaggio del pensiero del Papa polacco e desta il desiderio di farlo diventare un nostro interlocutore quotidiano, come sembra suggerire papa Francesco: «I frammenti sono intenzionalmente selezionati per accompagnarci con un pensiero al giorno. Sono piccole perle del suo spessore umano e cristiano che destano in noi il desiderio di conoscerlo di più».

«La cosa più difficile è stata scegliere quali [pensieri] eliminare tra i tanti che meritavano», spiega nell’introduzione Marina Olmo, curatrice dell’edizione oltre che responsabile della traduzione.

Giovanni Paolo II e il dialogo con Dio
Le riflessioni del Pontefice polacco hanno la forma dei Pensieri improvvisi di Andrej Sinijavskij e toccano i temi della vita umana, del lavoro, del cuore e dei suoi desideri, così come, in un ambito più prettamente religioso, del battesimo, della cresima e del matrimonio. L’opera rivolge un’attenzione particolare alle famiglie e ai giovani, che vengono invitati a fuggire sogni effimeri e facili successi, per seguire, invece, la «vera gloria».

Wojtyla sprona a non trascurare il rapporto con il Creatore sostenendo che «ci sono questioni di cui non si può parlare con nessuno, ma solo con il Signore Dio, solo con Cristo». Non smette poi di ricordare il valore della libertà di ciascuno, proprietà definita «inaccessibile», «essenza stessa di ogni uomo» («la libertà è l’uomo e l’uomo è la libertà»), ma, allo stesso tempo, frutto di una conquista «autentica e personale» e fonte di «responsabilità».

Il marchio del battesimo
Giovanni Paolo II si scaglia contro la tentazione di ogni credente, messa nel cuore dal «sussurro di Satana», di crearsi un Dio da sé. Secondo il santo gli idoli che ognuno si crea nella propria vita s’insinuano nel cuore insieme alle parole «non voglio servire», portando il fedele a cercare l’autoaffermazione e a cercare da solo una via di redenzione. La risposta, invece, va cercata nella potenza del Vangelo, vera e propria fonte di vita e opera di un Dio che ama di un amore unico e irripetibile.

È forte il richiamo del Pontefice a chi si è allontanato dalla Chiesa: un percorso di fede è possibile anche per chi ha smarrito la via perché ognuno porta impresso nel cuore il marchio del battesimo, segno inossidabile della possibilità di salvezza. Il Papa ricorda che l’uomo non è mai perduto: anche nel punto più profondo della sua esistenza, la possibilità della misericordia è presente.

La malattia e la maternità
Come ha dimostrato lottando contro il Parkinson fino all’ultimo giorno, il Pontefice afferma con forza che «Dio vuole tutto. Se non si dà tutto, è già una perdita enorme». Ma questa sua consapevolezza non si tramuta mai in un atteggiamento muscolare o volontaristico, infatti, in molti suoi pensieri Wojtyla mostrare il lato più umano del suo carattere: «E io non do tutto… Continuo a tenere qualcosa per me… come se volessi salvarmi da Dio».

Parole affettuose sono rivolte alle madri, perché la maternità è «quell’unico genio» rispetto al quale «tutto è niente a confronto».

Giuseppe BELTRAME

FONTE: TEMPI


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