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L’Amore raccontato dal drammaturgo Karol Wojtyla

"La bottega dell’orefice, meditazioni sul sacramento del matrimonio che di tanto in tanto si trasforma in dramma", questo il titolo di una delle opere teatrali più famose di Karol Wojtyla, ossia Giovanni Paolo II.

Già nel titolo, tutto. Parola “dramma”. Wojtyla, fin da subito, percepisce quanto questo termine sia legato a quello dell’Amore. Dramma, nel senso greco : azione, agire. Nel suo saggio teologico-filosofico del 1968, Amore e responsabilità, troviamo, proprio in merito a tale argomento, queste importanti parole: “L’amore indubbiamente è un dramma, nel senso che è essenzialmente divenire e azione ed è proprio quello che sta a significare la parola greca drao. Ora le dramatis personae uomo e donna, attingono la trama da se stessi, incontreranno l’amore sempre come una situazione psicologica unica nel suo genere, problema molto importante e che assorbe profondamente le loro interiorità”.

“Drao”: "agire", dicevamo. Forse lo stesso “procedimento” dell’Amore, potrebbe essere tutto racchiuso in questo verbo. Per Wojtyla, l’Amore fa agire e agisce. Sono, infatti, azioni quelle che compiono i personaggi de La bottega. Sono azioni quelle che compiono gli Uomini per legarsi nell’indissolubbile Sacramento del Matrimonio.

Il ponte dell’Amore

Altra parola chiave del famoso testo teatrale, e che può bene esprimere la concezione del drammaturgo Wojtyla sul tema dell’Amore, la troviamo espressa nel monologo di Andrea, uno dei protagonisti dell’opera, quando parla di Teresa, la sua aspirante fidanzata che diverrà - in seguito - sua moglie: “Oggi vedo che il mio mondo è anche il suo. Eppure sognavo soltanto di gettare un ponte”. Quanti “richiami” (per dirla alla Wojtyla – una buona parte de La bottega è dedicata proprio ai “richiami”) questa parola, “ponte” suscita! Nel caso di Andrea e Teresa abbiamo il ponte d’amore, se così si può definire. Questi due mondi che entrano in contatto e che per incontrarsi hanno bisogno, appunto, di un ponte. Andrea deve uscire fuori dal suo “io” per andare incontro a quello di Teresa, e viceversa. Andrea, infatti, dice: “Pensavo molto al mio alter ego. Sì Teresa era un mondo intero distante allo stesso modo come ogni altro uomo, come ogni altra donna – eppure qualcosa mi permetteva di pensare che potevo gettare un ponte”.

E’ il ponte fra due esseri, il principio, l’alfa del tutto. Incomincia così, l’Amore, per Wojtyla. E nel procedere su quel ponte - chi viene da una parte, chi dall’altra - si giunge all’incontro. E questo può avvenire solamente - e aggiungerei “semplicemente”, se non fosse che il Tempo in cui viviamo ce lo sta facendo dimenticare troppo spesso - con l’uscire da noi stessi, per incontrare l’ “altro”. Quello che potrebbe sembrare privazione, quello che potrebbe sembrare limitazione della libertà, invece racchiude in sé una libertà ancora più grande: quella di amare. Wojtyla esprime tutto questo nel famoso discorso ai giovani fidanzati Andrea e Teresa, pronunciato dall’orefice della bottega, personaggio-nascosto, ma sempre presente:

“Il volo prende forma di spirale, di ellisse — la forma del cuore...Ah, il peso specifico dell'uomo! Questa incrinatura, questo groviglio, questo fondo, questo appigliarsi, quando diviene tanto difficile distogliere il cuore, il pensiero. E in mezzo a tutto questo — la libertà, una libertà, talvolta follia, la follia di libertà che si impiglia nel groviglio. E in mezzo a tutto questo — l'amore che sgorga dalla libertà come una sorgente dal suolo”.

Amare, è volare. In libertà. E di questa, l’Amore diviene “sorgente”. E per Wojtyla è sempre stata una fonte inesauribile, sia come scrittore, sia come sacerdote e pontefice. E, allora, con un po’ di fantasia - ma forse, di fantasia non si tratta - immaginiamo pure San Giovanni Paolo II, con il suo inconfondibile sorriso, augurare a tutti gli Andrea e Teresa del mondo, un felice giorno di San Valentino.

Antonio Tarallo. FONTE: ANSA

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