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Bergoglio: sintonia totale con Wojtyla: “Il celibato dei preti è una grazia, non un limite”

Un libro-intervista di Francesco su “San Giovanni Paolo Magno” smentisce la contrapposizione agitata dai suoi avversari.
Papa Giovanni Paolo II con il nuovo cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo metropolita di Buenos Aires

Sul celibato dei preti Francesco la pensa come Giovanni Paolo II. Lo definisce «un dono, una grazia decisiva che caratterizza la Chiesa cattolica latina. E non un limite». E se oggi c’è chi lo chiama «Papa comunista», a Buenos Aires Bergoglio è stato «percepito come un conservatore», per la sua «sintonia» con Wojtyla. Il Pontefice argentino lo dice nelle pagine di San Giovanni Paolo Magno, in uscita l’11 febbraio per le edizioni San Paolo (pp. 128, € 12). Dal libro, attraverso l’intervista rilasciata a don Luigi Maria Epicoco, emergono le affinità tra gli arcivescovi di Cracovia e Buenos Aires, «presi» entrambi da «Paesi lontani» per farli salire sul Soglio di Pietro. Un volume che può assumere un ruolo rilevante nelle accese dispute dentro e fuori della Chiesa, perché Wojtyla è stato «arruolato» e viene spesso utilizzato come simbolo del fronte ostile al pontificato bergogliano, soprattutto per quanto riguarda gli ambiti politici e teologici, mentre Francesco ha rispedito più volte al mittente questa contrapposizione.

Nel solco dei predecessori
Sul delicato tema del momento dentro il recinto cattolico, papa Francesco assicura la piena conformità del suo pensiero con ciò che il Pontefice polacco ha espresso nel libro autobiografico Dono e Mistero. Una prova? «Basta leggere le mie lettere del Giovedì Santo o anche le omelie che da vescovo di Buenos Aires ho pronunciato nei diversi anni, per vedere come ci sia una sintonia totale con san Giovanni Paolo II rispetto al sacerdozio». Per Jorge Mario Bergoglio in confronto al passato sono cambiate «alcune forme di essere sacerdote, ma l’essenziale rimane lo stesso». E se c’è chi dice che oggi la dimensione orizzontale del prete, cioè la sensibilità e l’impegno sociali, ha preso troppo spazio a scapito di una dimensione più trascendente, spirituale, l’invito di Francesco è «ripartire dalle parole di Pietro negli Atti degli Apostolie vedere come, per tutelare il ministero della preghiera, l’annuncio della Parola, egli spinge all’istituzione dei diaconi». Preghiera e annuncio della Parola «sono il compito fondamentale di ogni sacerdote».

Ed ecco il passaggio cruciale. Crisi delle vocazioni e abusi sessuali da parte di uomini di Chiesa sarebbero per molti conseguenza diretta e indiretta delle preclusioni psicologiche e sociali provocate dal celibato obbligatorio per i preti, perciò se ne invoca da più parti l’abolizione, ritenuta una soluzione e un rimedio validi ed efficaci. Francesco non usa giri di parole, e si dice «convinto che il celibato sia un dono, una grazia e, camminando nel solco di Paolo VI e poi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, io sento con forza il dovere di pensare al celibato come a una grazia decisiva che caratterizza la Chiesa Cattolica latina». Lo ribadisce: «È una grazia, non un limite».

Marxismo e Vangelo
Il discorso a un certo punto verte sull’America Latina, la terra di Bergoglio che Giovanni Paolo II ha visitato più volte. «Molti Paesi», ricorda Francesco, «avevano difficoltà a comprendere come la Teologia della liberazione, che usava un’analisi marxista, rischiava di prendere la via ideologica che, in un certo senso, poteva tradire il genuino messaggio del Vangelo. Giovanni Paolo II veniva da un Paese che aveva sofferto il marxismo e aveva una grande capacità di intuire questo rischio». Si capiva allora come «alcune sue precisazioni» che apparivano particolarmente severe «non fossero dettate da chiusure nei confronti di alcune iniziative, ma dal tentativo di voler trattenere nella genuinità del Vangelo intuizioni e desideri leciti, che partivano dal basso, da situazioni di ingiustizia sociale, ma che avevano bisogno di essere rilette più alla luce del Vangelo che alla luce dell’analisi marxista».

Francesco racconta di un tempo in cui è stato «percepito come un conservatore. Alcuni mi guardavano in questo modo», perché «semplicemente ho sempre sentito sintonia con quello che il Papa andava dicendo durante quegli anni». E il Papa era Giovanni Paolo II.

La Tradizione non è tutto
Per Francesco la Tradizione «è tale solo se cresce». Cita una definizione «molto bella del musicista Gustav Mahler, secondo la quale la tradizione è la garanzia del futuro, non la custodia delle ceneri». In questo senso Bergoglio ritiene «che la Tradizione sia come la radice. Tutta la radice dà nutrimento all’albero, ma l’albero è più della radice, e il frutto è più dell’albero. La Tradizione deve crescere, ma crescere sempre nella stessa direzione della radice: Ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate – Con gli anni si consolida, con il tempo si dilata, con l’età si approfondisce (san Vincenzo di Lérins, ndr)».

L’economia sociale di mercato
La Dottrina Sociale della Chiesa «è del Vangelo, e non di un partito», puntualizza. Perciò «io cerco di sottolineare molto la questione dei poveri. Essi sono al centro del Vangelo». E per Francesco «c’è una frase di Giovanni Paolo II che credo sia significativa: quando studia il problema del capitalismo, parla della “economia sociale di mercato”. In questo senso, sembra accettare la proposta liberale di mercato, ma mette dentro la categoria del sociale. Io credo che questo sia un modo geniale di tenere insieme istanze diverse e leggerle secondo l’ottica del Vangelo».

DOMENICO AGASSO JR

FONTE: VATICAN INSIDER

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