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Il Papa a Bari: “Mi fanno paura i discorsi di alcuni leader populisti, seminavano odio già negli anni ’30”



Francesco conclude l’incontro «Mediterraneo frontiera di pace» organizzato dalla Cei. Condanna chi «dipinge strumentalmente» le migrazioni come un’invasione. «La retorica dello scontro di civiltà serve solo a giustificare la violenza e ad alimentare l’odio». La guerra è «una follia»


Papa Francesco condanna chi «dipinge strumentalmente» le migrazioni «come un’invasione». E avverte: «La retorica dello scontro di civiltà serve solo a giustificare la violenza e ad alimentare l’odio». Lo dice a Bari, dove questa mattina, 23 febbraio 2020, conclude l’incontro «Mediterraneo frontiera di pace», organizzato dalla Cei. Il Pontefice coglie l’occasione per ribadire il suo forte no alle guerre, che sono una «follia» a cui non ci si può rassegnare. E afferma: «A me fa paura quando ascolto qualche discorso di alcuni leader delle nuove forme di populismo: mi fa sentire discorsi che seminavano paura e odio negli anni ’30».

Il Vescovo di Roma è partito alle 7 dall’eliporto del Vaticano per arrivare a Bari e terminare la conferenza di riflessione e spiritualità promossa dalla Conferenza episcopale italiana e iniziata il 19 febbraio, a cui partecipano 58 vescovi dei paesi del Mediterraneo. Al suo arrivo è accolto dall’arcivescovo di Bari-Bitonto, monsignor Francesco Cacucci, dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, dal sindaco della Città, Antonio Decaro. Quindi si trasferisce in auto alla Basilica pontificia di San Nicola, dove si intrattiene con i presuli. 

Dopo l’introduzione del presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, e gli interventi dell’arcivescovo di Vrhbosna-Sarajevo e presidente della Conferenza episcopale di Bosnia ed Erzegovina, il cardinale Vinko Puljić, e dell’amministratore apostolico sede vacante del patriarcato latino di Gerusalemme, monsignor Pierbattista Pizzaballa, Francesco tiene il suo discorso, che inizia dicendosi «lieto di incontrarvi e grato ad ognuno di voi per avere accettato l’invito della Conferenza Episcopale Italiana a partecipare a questo incontro che riunisce le Chiese del Mediterraneo». Quando, «a suo tempo, il Cardinale Bassetti mi presentò l’iniziativa, la accolsi subito con gioia, intravedendo in essa la possibilità di avviare un processo di ascolto e di confronto, con cui contribuire all’edificazione della pace in questa zona cruciale del mondo». Per questa ragione «ho voluto essere presente e testimoniare il valore contenuto nel nuovo paradigma di fraternità e collegialità, di cui voi siete espressione». 

Il Mare nostrum è il luogo «fisico e spirituale nel quale ha preso forma la nostra civiltà, come risultato dell’incontro di popoli diversi», evidenzia. Proprio «in virtù della sua conformazione, questo mare obbliga i popoli e le culture che vi si affacciano a una costante prossimità, invitandoli a fare memoria di ciò che li accomuna» e a ricordare che «solo vivendo nella concordia possono godere delle opportunità che questa regione offre dal punto di vista delle risorse, della bellezza del territorio, delle varie tradizioni umane». 

Ai nostri giorni, l’importanza di quest’area non è diminuita «in seguito alle dinamiche determinate dalla globalizzazione»; al contrario, «quest’ultima ha accentuato il ruolo del Mediterraneo, quale crocevia di interessi e vicende significative dal punto di vista sociale, politico, religioso ed economico». Resta una zona «strategica, il cui equilibrio riflette i suoi effetti anche sulle altre parti del mondo». 

Per Francesco «si può dire che le sue dimensioni siano inversamente proporzionali alla sua grandezza, la quale porta a paragonarlo, più che a un oceano, a un lago, come già fece Giorgio La Pira. Definendolo “il grande lago di Tiberiade”, egli suggerì un’analogia tra il tempo di Gesù e il nostro, tra l’ambiente in cui Lui si muoveva e quello in cui vivono i popoli che oggi lo abitano».

E come Cristo «operò in un contesto eterogeneo di culture e credenze, così noi ci collochiamo in un quadro poliedrico e multiforme, lacerato da divisioni e diseguaglianze, che ne aumentano l’instabilità». In questo «epicentro di profonde linee di rottura e di conflitti economici, religiosi, confessionali e politici, siamo chiamati a offrire la nostra testimonianza di unità e di pace». 

Il Vescovo di Roma rimarca che «oggi l’area del Mediterraneo è insidiata da tanti focolai di instabilità e di guerra, sia nel Medio Oriente, sia in vari Stati del nord Africa, come pure tra diverse etnie o gruppi religiosi e confessionali; né possiamo dimenticare il conflitto ancora irrisolto tra israeliani e palestinesi, con il pericolo di soluzioni non eque e, quindi, foriere di nuove crisi». 

La guerra, «che orienta le risorse all’acquisto di armi e allo sforzo militare, distogliendole dalle funzioni vitali di una società, quali il sostegno alle famiglie, alla sanità e all’istruzione, è contraria alla ragione, secondo l’insegnamento di san Giovanni XXIII». In altre parole, «essa è un’autentica follia, perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche». È una «pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare: mai - sentenzia il Papa - la guerra potrà essere scambiata per normalità o accettata come via ineluttabile per regolare divergenze e interessi contrapposti». 

Il fine ultimo di ogni società umana «rimane la pace». Non c’è alcuna alternativa «sensata alla pace, perché ogni progetto di sfruttamento e supremazia abbruttisce chi colpisce e chi ne è colpito, e rivela una concezione miope della realtà, dato che priva del futuro non solo l’altro, ma anche se stessi». I conflitti appaiono «così come il fallimento di ogni progetto umano e divino: basta visitare un paesaggio o una città, teatri di un conflitto, per accorgersi come, a causa dell’odio, il giardino si trasformi in una terra desolata e inospitale e il paradiso terrestre in un inferno». Senza leggere il testo scritto, Francesco scandisce «il grande peccato di ipocrisia: quando nelle convenzioni internazionali tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai paesi in guerra. Questa è la grande ipocrisia». 

La costruzione della pace, «che la Chiesa e ogni istituzione civile devono sempre sentire come priorità, ha come presupposto indispensabile la giustizia, calpestata dove sono ignorate le esigenze delle persone e dove gli interessi economici di parte prevalgono sui diritti dei singoli e della comunità». La giustizia è ostacolata, «inoltre, dalla cultura dello scarto, che tratta le persone come fossero cose, e che genera e accresce le diseguaglianze, così che in modo stridente sulle sponde dello stesso mare vivono società dell’abbondanza e altre in cui molti lottano per la sopravvivenza». 

A contrastare «tale cultura contribuiscono in maniera decisiva le innumerevoli opere di carità, di educazione e di formazione attuate dalle comunità cristiane». E ogni volta che le diocesi, le parrocchie, le associazioni, il volontariato «o i singoli si adoperano per sostenere chi è abbandonato o nel bisogno, il Vangelo acquista nuova forza di attrazione». 

Per il Papa, «nel perseguire il bene comune – che è un altro nome della pace – è da assumere il criterio indicato dallo stesso La Pira: lasciarsi guidare dalle “attese della povera gente”. Tale principio, che non è mai accantonabile in base a calcoli o a ragioni di convenienza, se assunto in modo serio, permette una svolta antropologica radicale, che rende tutti più umani». 

Si domanda il Pontefice: «A cosa serve, del resto, una società che raggiunge sempre nuovi risultati tecnologici, ma che diventa meno solidale verso chi è nel bisogno? Con l’annuncio evangelico, noi trasmettiamo invece la logica per la quale non ci sono ultimi e ci sforziamo affinché la Chiesa, mediante un impegno sempre più attivo, sia segno dell’attenzione privilegiata per i piccoli e i poveri». 

Tra coloro che nell’area del Mediterraneo più «faticano, vi sono quanti fuggono dalla guerra o lasciano la loro terra in cerca di una vita degna dell’uomo. Il numero di questi fratelli – costretti ad abbandonare affetti e patria e ad esporsi a condizioni di estrema precarietà – è andato aumentando a causa dell’incremento dei conflitti e delle drammatiche condizioni climatiche e ambientali di zone sempre più ampie». È facile prevedere «che tale fenomeno, con le sue dinamiche epocali, segnerà profondamente la regione mediterranea, per cui gli Stati e le stesse comunità religiose non possono farsi trovare impreparati». 

Rileva Bergoglio: «Siamo consapevoli che in diversi contesti sociali è diffuso un senso di indifferenza e perfino di rifiuto», che fa pensare all’atteggiamento, «stigmatizzato in molte parabole evangeliche, di quanti si chiudono nella propria ricchezza e autonomia, senza accorgersi di chi, con le parole o semplicemente con il suo stato di indigenza, sta invocando aiuto». Denuncia il Papa: «Si fa strada un senso di paura, che porta ad alzare le proprie difese davanti a quella che viene strumentalmente dipinta come un’invasione. La retorica dello scontro di civiltà serve solo a giustificare la violenza e ad alimentare l’odio». Poi avverte: «L’inadempienza o, comunque, la debolezza della politica e il settarismo sono cause di radicalismi e terrorismo». La comunità internazionale «si è fermata agli interventi militari, mentre dovrebbe costruire istituzioni che garantiscano uguali opportunità e luoghi nei quali i cittadini abbiano la possibilità di farsi carico del bene comune». 

E rivolgendosi direttamente ai prelati, incoraggia: «A nostra volta, fratelli, alziamo la voce per chiedere ai Governi la tutela delle minoranze e della libertà religiosa. La persecuzione di cui sono vittime soprattutto – ma non solo – le comunità cristiane è una ferita che lacera il nostro cuore e non ci può lasciare indifferenti». 

Allo stesso tempo, «non accettiamo mai che chi cerca speranza per mare muoia senza ricevere soccorso o che chi giunge da lontano diventi vittima di sfruttamento sessuale, sia sottopagato o assoldato dalle mafie». 

Certo, l’accoglienza e una «dignitosa integrazione sono tappe di un processo non facile; tuttavia, è impensabile poterlo affrontare innalzando muri».

A questo punto aggiunge un passo «a braccio»: «A me fa paura quando ascolto qualche discorso di alcuni leader delle nuove forme di populismo: mi fa sentire discorsi che seminavano paura e odio nella decade del '30 del secolo scorso». 

Sottolinea poi Francesco: «In tale modo, piuttosto, ci si preclude l’accesso alla ricchezza di cui l’altro è portatore e che costituisce sempre un’occasione di crescita». Quando si «rinnega il desiderio di comunione, inscritto nel cuore dell’uomo e nella storia dei popoli, si contrasta il processo di unificazione della famiglia umana, che già si fa strada tra mille avversità». E il Mediterraneo ha una «vocazione peculiare in tal senso: è il mare del meticciato». Essere affacciati «sul Mediterraneo rappresenta dunque una straordinaria potenzialità: non lasciamo che a causa di uno spirito nazionalistico, si diffonda la persuasione contraria, che cioè siano privilegiati gli Stati meno raggiungibili e geograficamente più isolati». Soltanto il dialogo «permette di incontrarsi, di superare pregiudizi e stereotipi, di raccontare e conoscere meglio sé stessi». 

Il Papa ammonisce inoltre su «estremismi e fondamentalismi», che «negano la dignità dell’uomo e la sua libertà religiosa, causando un declino morale e incentivando una concezione antagonistica dei rapporti umani». È anche per questo che «si rende urgente un incontro più vivo tra le diverse fedi religiose, mosso da un sincero rispetto e da un intento di pace. Tale incontro muove dalla consapevolezza, fissata nel Documento sulla fratellanza firmato ad Abu Dhabi, che “i veri insegnamenti delle religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace; a sostenere i valori della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune”».

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