In altri recenti articoli mi sono soffermata sull’importanza della teologia del corpo di san Giovanni Paolo II, dichiarando che è fondamentale proporla ai giovani. Tuttavia, anche il metodo educativo e pedagogico del pontefice polacco merita attenzione e di essere preso a modello…
Oggi porto come esempio quella volta in cui si dimostrò padre per una ragazza violentata…
In ragione di un innovativo e proficuo itinerario pedagogico, san Giovanni Paolo II, amatissimo dai giovani e coraggioso nel trattare temi inerenti la famiglia e la sessualità, preferiva focalizzarsi sul narrare la bellezza dell’amore umano, piuttosto che sui rischi che una sessualità disordinata implica.
Quasi mai parlava dell’egoismo, ma quasi sempre della meraviglia racchiusa in un mondo colmo di generosità.
Ascoltando le sue parole – colme di vita e speranza – le quali sottoponevano automaticamente i volti, le biografie, i destini e l’avvenire di milioni di giovani ad una visione profetica ottimistica, confortante e benevola diffondeva il bello, il buono ed il vero, formulando ed indicando una proposta che colmasse e ricolmasse l’esistenza.
Non si limitava ad esplicitare in cosa consistesse la bontà, ma insegnava pragmaticamente ad essere buoni, per questo il suo itinerario educativo risultava essere così splendidamente innovativo ed effettivo.
Giovanni Paolo II mostrava, cioè, come Dio non si identificasse con un insostenibile “codice di norme”, che diviene sovente uno sterile pretesto per formulare e generare impietosi giudizi e letali sensi di colpa, bensì con una “persona nella quale credere”, nella quale sperare e con la quale vivere un amore intenso, fedele e reciproco per tutta la vita.
Tutto ciò, nella ragionevole e fondata consapevolezza che a Dio sia possibile donare un’intera esistenza, mentre ad un codice di norme neppure una giornata.
Egli, inoltre, non si limitava a ricordare e declamare pagine di un libro scritto da terzi, ma al contrario, le sue parole erano profondamente ed indelebilmente intrise del vivido sangue e della concreta carne di un Papa che parlava di Dio perché lo conosceva e lo amava.
Proprio per questo i giovani erano in grado di cogliere istantaneamente la veridicità del suo messaggio, persino quando quest’ultimo concerneva questioni tanto complesse, delicate ed intime, dunque faticose da interiorizzare ed applicare.
Per questo i giovani di ogni provenienza geografica potevano affermare con assoluta e granitica certezza che avesse ragione.
Le differenze geografiche erano infatti, clamorosamente irrilevanti poiché l’intenso, sapiente, confidenziale ed indefesso dialogo tra il Papa e i giovani era sempre il medesimo e sempre nuovo al contempo, pertanto eterno, vivo ed incisivo.
In tal mondo, quella gioventù così ferita e disorientata, nonché sottoposta ad una fuorviante ed ingiusta narrazione negativa, la quale recava impresso il sigillo di una cocente e dolorosa ribellione incentrata sul rifiuto sistematico, innescato dallo sterile e letale autoritarismo dalla desueta e cupa orma spartana, imposto ed inculcato da genitori ed educatori, si arrendeva ed inginocchiava volontariamente a contemplare il volto di un Dio che è Padre. Un Padre colmo di Parole di Vita, capaci di nutrire una narrazione profetica positiva e benedicente sulla biografia di tutti e di ciascuno. I giovani parlavano con il Papa senza alcun pudore o timore, poiché erano certi di potersi fidare e confidare con lui, nella totale sicurezza di non essere mai giudicati o traditi ma al contrario, sempre discretamente e delicatamente guidati, compresi, sostenuti, confortati ed incoraggiati ed amati mediante una modalità intima, unica, prediletta ed inedita.
La drammatica testimonianza di una ragazza di 14 anni che aveva subito un’efferata e brutale violenza, la quale l’aveva tragicamente e fatalmente resa sieropositiva e per questo sarebbe mestamente vissuta poco, costituisce un esemplare ed eloquente emblema di tale realtà.
Il Papa la chiamò a sé, abbracciandola con infinita, ardente e concreta tenerezza. Fu uno dei rari momenti nei quali la sua risposta non venne recepita dai microfoni, ci fu solo un intimo, sapiente ed intenso dialogo tra la giovane e il Papa.
In un certo qual modo, tutti presero parte a quell’abbraccio, come l’atto generativo e rigenerante rivolto a ciascuno di quei giovani ed alle ferite che portavano dolorosamente sulla propria pelle.
Giovanni Paolo II ci insegna e ci rammenta così, con inusitata audacia e tenerezza, che per educare è anzitutto necessario incarnare e testimoniare i valori. In altre parole: ciò che gli adulti si aspettano e pretendono dalle giovani generazioni, deve essere anzitutto testimoniato, incarnato ed insegnato da loro.
Il papa, che rimarrà per sempre una guida per la Chiesa intera e per il mondo, insegnava che il vero amore (in particolare quello di un’autentica madre e padre e che si può vivere anche se non si ha un figlio biologico, come in questo caso) “non apre ferite, le cura”.
CRISTIANA MALLOCCI
FONTE:PUNTO FAMIGLIA
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