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Memoria, ricordo e moderne discriminazioni.

...a proposito della "Giornata della Memoria".


Tra tante ricorrenze, da qualche tempo abbiamo imparato a celebrare anche il Giorno della Memoria, in commemorazione delle vittime dell'olocausto. La data è quella del 27 Gennaio, che coincide con la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche nel 1945. In Italia la legge del 20.07.2000 ha istituito formalmente la celebrazione “...al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”(art. 1).
Nell'occasione, precisa la legge, “...sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.”

Affinché simili eventi non possano mai più accadere. Certo. Perché qualcosa non accada più, bisogna prima di tutto conoscerla. Non suonino casuali, dunque, le parole di Primo Levi, ebreo ed anch'egli deportato ad Auschwitz, che nell'appendice al suo Se questo è un uomo scrisse: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono essere nuovamente sedotte ed oscurate: anche le nostre.” Dinanzi a tragedie come quelle dell'olocausto, la conoscenza, quella che renderebbe possibile la comprensione, resta in ogni caso imperfetta. Non sempre sforzi e tentativi finalizzati massimamente alla comprensione di fatti, fenomeni, azioni, raggiungono il loro scopo. Ma essi, per quanto vani, servono ad arricchire le conoscenze, accrescere l'esperienza, limitare possibili reiterazioni di errori. È necessario conoscere.

In occasioni come quella del Giorno della Memoria – come per molte altre, in verità – mi chiedo cosa e quanto abbia fatto, a titolo personale, per conoscere quegli eventi. La verifica personale trova risposte nell'accedere a varie fonti, le più ampie e varie possibili. E nonostante tutto, nonostante gli sforzi ed i tentativi, la comprensione resta effettivamente lontana. Perché allo studio delle fonti deve seguire l'elaborazione propria, quella che consente di elaborare i dati, estrapolare i concetti, raccogliere le somme; quindi, di dar frutto all'esperienza acquisita quantomeno attualizzando i risultati nella quotidianità della propria vita. Altrimenti tutto resta inutile. Non servono letture, studi e riflessioni, non serve acquisire dati e conoscenze, se il tutto non serva a correggersi e migliorarsi.
Ben lungi da me, di certo, la possibile reiterazione di crimini ed atrocità. Ma se la specifica esperienza storica sembra a distanza siderale, confesso non altrettanta pulizia di coscienza per le tante infinite discriminazioni quotidiane, quelle fatte di piccoli egoismi, ambizioni, azioni velleitarie. Sfuggono, in tante; ma sono presenti ed influiscono nelle relazioni umane.
Questo accusa la mia coscienza. Su questo rifletto e cerco risposte: su cosa e quanto possa e debba fare la mia persona per evitare, nel mio piccolo quotidiano vivere, la reiterazione di errori.
Se il percorso della propria vita etica appare più chiaro, non altrettanto può dirsi per quello che riguarda la collettività. Eppure la risposta sarebbe la stessa. La verifica collettiva sul cosa e quanto sia stato fatto, trova le stesse risposte. Non a caso, la istituzionalizzazione di una ricorrenza, sia con legge dello Stato che con dignità internazionale a seguito di una risoluzione dell'ONU (risoluzione 60/7 dell'Assemblea generale del 01.11.2005), affinché si promuovano iniziative varie per conoscere l'evento ed evitarne la reiterazione.

Se la risposta appare la stessa, non sono del tutto sicuro che ad essa segua un eguale chiaro e deciso pentimento collettivo per quelle stesse tante infinite discriminazioni quotidiane presenti nella società.
Sfido chiunque, oggi – ad eccezione di fortunatamente pochi pazzi che pure, nella loro follia, non seconda per errore a quella che muoveva le azioni tragiche di oltre settantacinque anni fa, minano all'ordine sociale, comune ed internazionale – a non ritenere di dover fuggire ed opporre ogni forma di discriminazione razziale, le deportazioni, lo sterminio. Nutro qualche perplessità, invece, a condividere che uguale fuga ed opposizione collettiva riguardi ogni altra forma di discriminazione. Ogni forma di discriminazione, comunque altra.

Esistono, certo, sensibilità etiche diverse. Ma mi impressiona che per favorire la conoscenza di un grave errore storico al fine di evitarne la reiterazione sia addirittura necessaria una legge o una risoluzione internazionale. Perché mi chiedo se e quale legge o risoluzione, allora, siano mai necessarie per stimolare le sensibilità etiche degli individui. Quelle sensibilità che evidentemente mancano, se quelle forme altre di discriminazioni quotidiane non giungono al pentimento collettivo. Un pentimento che sia poi seguito da una suprema, per quanto complessa, dura, faticosa, ricerca di comunione sociale.
La vita etica non risponde a imperativi o raccomandazioni di carattere normativo. Risponde a modelli di riferimento personali, costruitisi nel tempo, che regolano le condotte. Modelli personali e dunque diversi per ogni individuo.
Così, mentre la comune coscienza formatasi attraverso i molteplici modelli personali sembra condannare e fuggire le storiche discriminazioni razziali, non può dirsi altrettanto per le tante forme altre di discriminazione. Occorre, invece, prodursi nello sforzo comune di uguale condanna per esse. Per tutte.

Conviviamo, quasi assuefatti, con moderne forme di discriminazione.
Nonostante l'innegabile progresso sociale, la lezione della storia non sembra del tutto compresa e perpetriamo ancora sia discriminazioni razziali, sia pericolosissime discriminazioni religiose. Le discriminazioni da convinzioni personali o da opinioni politiche, poi, sono talmente comuni da segnare un evidente regresso nel livello del confronto democratico di molte nazioni. Non esclusa la nostra. Le discriminazioni sociali, ancora, sono fonte dei contrasti più accesi, con tendenza sempre più crescente all'indifferenza se non all'isolamento, alla ghettizzazione. Si parla tanto di “pari opportunità”, ma quasi non badiamo più alle tante discriminazioni sessuali. E non sono, forse, discriminazioni alla vita anche la diffusa e ricorrente pratica dell'aborto, al pari di alcune modalità di fecondazione assistita, come alcune decisioni sul fine vita, pratiche, modalità e decisioni che di fatto limitano e pregiudicano migliaia di migliaia di vite umane nel mondo?

Su tutti questi temi sembrano volersi favorire rispetto per l'altro, dialogo e condivisioni; ma prevalgono egoismo, incomprensione, divergenze.

Non mi è chiaro cosa e quanto la coscienza collettiva produca per fuggire le moderne forme di discriminazione. Non mi è chiaro e ne ho paura. Perché vedo, oggi, non del tutto rimossi i pericoli di tanti focolai nascosti sotto la cenere, pronti a rianimarsi in ogni dove. Partendo dai piccoli recinti dei cortili dei nostri condomini fino ai più ampi confini delle nazioni, passando attraverso il sostenimento di discutibili tecniche di fecondazione artificiale.

Serve conoscere e far tesoro della storia per non ripeterne gli errori. Serve guardare alla propria vita etica per correggersi; perchè quegli errori, derivanti dall'esperienza comune, non diventino corredo personale al punto da viziare a loro volta il nostro vivere sociale. Ma la correzione della propria vita etica richiede corretti modelli di riferimento. Cerchiamoli.

Eugenio SCAGLIUSI

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