L’episcopato polacco ha deciso di iniziare il processo di canonizzazione per i genitori di Wojtyla. L’ultimo bacio della mamma, che si rifiutò di abortire, e l’ultima notte del papà, che crebbe nella fede il Santo Padre.
La conferenza episcopale polacca ha deciso di iniziare il processo di canonizzazione per i genitori di San Giovanni Paolo II. Ci sperava il cardinale Stanisław Dziwisz, arcivescovo di Cracovia ed ex segretario personale di Wojtyla, che durante un’appassionata omelia pronunciata lo scorso anno nella parrocchia di sant’Anna, a Wohyn, aveva parlato della vita dei due innamorati come esempio per tutte le famiglie moderne. La sua speranza era risuonata potente in Polonia, chi meglio del fedele collaboratore e amico del santo poteva conoscere la storia di Karol ed Emilia?
«DEVE ABORTIRE». MA EMILIA NON LO ASCOLTÒ
Racconta la giornalista polacca Milena Kindziuk, autrice di La madre del Papa. Una storia commovente su Emilia Wojtyłowa che Emilia Kaczorowska decise di dare alla luce il futuro Papa nonostante la gravidanza stesse mettendo a rischio la sua vita e i medici le consigliassero di abortire. Jan Moskala, ginecologo di Wadowice, era preoccupato per quella donna così fragile che nel 1906 aveva avuto il primo figlio Edmund ma nel 1916 aveva perso la figlia Olga Maria, morta poco dopo il parto, «deve abortire», le disse, quando nel 1919 seppe che la donna aspettava aspettava Karol, consigliandole severamente di salvare la propria vita e pensare al suo figlio maggiore invece che quella del bambino concepito.
LA NASCITA DI KAROL
Ma Emilia decise di non ascoltarlo. Si era innamorata e sposata che non aveva ancora vent’anni con il sottufficiale nell’esercito asburgico (poi tenente in quello polacco) Karol Wojtyla, conosciuto nella chiesa cattolica di Cracovia. Un uomo definito dai rapporti dell’esercito austriaco «onesto, leale, serio, educato, modesto, retto, responsabile, generoso e instancabile», che affrontò accanto alla moglie una gravidanza difficile culminata con il parto, nella loro casa di Wadowice, il 18 maggio 1920, di Karol Jòzef, ribattezzato affettuosamente “Lolek”, un bimbo robusto e in ottima salute che sarebbe diventato il primo papa non italiano e primo pontefice polacco della storia. Emilia lo lasciò un mese prima che potesse compiere 9 anni, morendo di miocardite e nefrite: «Emilia era molto malata ma sopportava il dolore con fede. A Wadowice la gente diceva che soffriva di una malattia alla spina dorsale oppure di cuore. Ma lei non parlava mai dei suoi disturbi e riusciva sempre a tenere un sorriso dolce e sereno sulle labbra, anche nei momenti di maggior sofferenza – raccontava la sua vicina di casa, Maria Janina Kaczorowa -. Ricordo quando la portarono in ospedale. Aveva le gambe che non la reggevano più e la schiena dolorante. E morì subito». Era il 13 aprile 1929.
UNA DOLCE PREGHIERA
Racconta Renzo Allegri, autore di numerosissimi libri e ricostruzioni sulla storia del Papa di cui si sa pochissimo, che quella mattina, il piccolo Karol si alzò presto come al solito per andare a scuola. La mamma lo abbracciò e lo baciò e quella fu l’ultima volta che la vide. Poche ore dopo qualcuno venne a prenderlo a scuola, uscì per tornare a casa camminando in silenzio accanto a una vicina che gli aveva dato la notizia. Da Papa, nel suo libro Dono e mistero scrisse: «Non avevo ancora fatto la Prima Comunione quando perdetti la mamma: avevo appena nove anni. Non ho però chiara consapevolezza del contributo, sicuramente grande, che ella dette alla mia educazione religiosa». E nel 1939 scrisse in versi una dolce preghiera: «Sulla tua tomba bianca/Fioriscono bianchi fiori della vita./Oh, quanti anni sono stati senza di te,/Quanti anni fa?/Sulla tua tomba bianca/Da tanti anni già chiusa:/Come se in alto qualcosa si innalzasse,/Come la morte incomprensibile./Sulla tua tomba bianca,/O madre, mio spento amore,/Con tanto affetto filiale/Faccio preghiera:/Dio, donale eterno riposo».
IL SACRIFICIO DI EDMUND
Tre anni dopo la morte di Emilia, anche il suo primogenito Edmund morì sacrificando la propria vita per qualcuno. «Nel 1932, era un giovane medico cardiologo, che lavorava nell’ospedale di Bielsko – ha raccontato Allegri -. In quell’ospedale venne ricoverata una ragazza di 21 anni, Anna, colpita da scarlattina scettica, malattia infettiva mortale a quei tempi. Per questo venne messa in isolamento e praticamente abbandonata dai medici che temevano il contagio. Edmondo, anche se la ragazza non faceva parte del suo reparto di cardiologia, si offrì volontario per assisterla. Sapeva che rischiava la vita. E, infatti, fu contagiato e morì, tra atroci dolori, a soli 26 anni». Karol rimase col papà. Che pochi anni prima si era congedato per aiutare la moglie malata: fu quest’uomo a occuparsi dei suoi figli, seguirli negli studi, cucire loro i vestiti con la cura imparata dal padre sarto, mestiere che esercitò prima di arruolarsi nell’esercito
L’ULTIMA NOTTE DI PAPÀ KAROL
«Suo padre gli ha insegnato il patriottismo, l’ordine e la preghiera sistematica. Tutti i giorni partecipavano entrambi alla Messa mattutina, leggevano la Bibbia in casa, recitavano il Rosario e cantavano una piccola devozione all’Immacolata Concezione» ha scritto Kindziuk a proposito della profondissima amicizia e fede che legò il Papa a suo padre: fu Karol a consegnargli la Litania dello Spirito santo e a chiedergli di recitarla tutti i giorni. Karol morì una gelida notte del 1941: era il 18 febbraio, allora Karol junior, studente all’università di Cracovia, aveva 21 anni e viveva col padre che era tutto per lui in un appartamentino in un seminterrato lungo il fiume Vistola. Ogni mattina, racconta Allegri, s’incamminava verso la fabbrica dove doveva lavorare per non finire deportato secondo le disposizioni dei nazisti. Non lo faceva volentieri, suo padre, da tempo malato di cuore, doveva restare a casa da solo. Quella sera Karol era passato dalla famiglia del caro amico Juliusz Kydrynski, per prendere la cena e qualche medicina per il papà. Ma quando entrò in casa e raggiunse la stanza buia in fondo al corridoio il capitano era morto, fulminato da un attacco cardiaco. Karol scoppiò in un pianto dirotto, «Tra le lacrime e i singulti, si rimproverava di non essere stato presente alla morte del padre. (…). Juliusz si recò dall’amico e rimase con lui tutta la notte. E per tutta la notte Lolek restò in ginocchio davanti alla salma del padre, pregando e parlando con l’amico per sfogare il proprio terribile dolore».
L’ANNUNCIO DEI VESCOVI
«Karol Wojtyła era un uomo profondamente religioso, operoso e coscienzioso. Giovanni Paolo II ha ripetutamente menzionato di aver visto suo padre inginocchiarsi e pregare anche di notte. Fu suo padre a insegnargli la preghiera allo Spirito Santo che lo accompagnò fino alla fine della sua vita», ha spiegato l’episcopato polacco dando l’annuncio il 10 ottobre. L’arcidiocesi di Cracovia ha ottenuto così, l’assenso a rivolgersi alla Santa Sede per il nulla osta all’istruzione a livello diocesano del processo di beatificazione.
FONTE: Tempi
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