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La Scuola è laica, ma che vuol dire?

Via il crocefisso dalle aule perché la Scuola è laica, ma siamo davvero sicuri di conoscere il significato di questo aggettivo? Laicità, vuol dire anche rispondere alle istanze spirituali dei nostri studenti altrimenti la Scuola diventa solo un compendio di nozioni.


Dalla cattedra certe parole assumono un significato sorprendente. Prendiamo il caso del termine laico. Più precisamente consideriamo l’espressione laicità della scuola che è così prepotentemente tornata alla ribalta dopo alcune parole pronunciate dal nuovo ministro dell’Istruzione Fioramonti sull’opportunità di sostituire i crocefissi con le cartine geografiche o i riferimenti alla Costituzione italiana. Il ministro si è dichiarato stupito dal “vespaio” di polemiche suscitato dalle sue parole. Ha toccato evidentemente un nervo scoperto nella società italiana. L’aggettivo laico è, infatti, uno di quelli che creano maggiormente confusione perché presenta molteplici accezioni.

Nell’ambiente ecclesiale, una persona laica è semplicemente uno che non fa parte del clero, della gerarchia ecclesiastica. L’essere laico sembrerebbe voler definire la mancanza di qualcosa. Da qui è disceso, probabilmente, l’uso in senso lato e, per così dire sociale, della parola: oggi laico indica ciò che non ha carattere religioso o che non segue un’ideologia o che la segue in una forma personalizzata o indebolita. Si pensi all’espressione intellettuale laico usata per certe personalità di provenienza marxista che hanno in parte rinnegato quella ideologia. Un’istituzione è laica nella prima accezione se è priva di riferimenti religiosi. La Scuola, per esempio, è laica se rifiuta ogni influenza dell’autorità religiosa e ogni dipendenza da principi o confessioni religiose. Uno Stato, infine, è laico se funziona indipendentemente da ogni autorità ecclesiastica. Con una battuta, si potrebbe dire che essere laico è un meno, una deficienza, una mancanza che ci accontenta tutti. Ma è proprio così?

Un episodio realmente accaduto di vita scolastica ci può aiutare. Qualche anno fa, in una terza media, stavamo affrontando lo studio dell’origine dell’universo. Interrogai (non senza una piccola dose di malizia, ma benevola) Concetta che, a dispetto del nome, era una testimone di Geova che non si avvaleva dell’insegnamento dell’I.r.c. Le chiesi di parlarmi delle teorie sull’origine dell’universo. Me le raccontò tutte, con dovizia di particolari, termini appropriati ed ostentando una certa sicurezza. Le diedi il voto massimo. Poi, ad interrogazione dichiaratamente finita, dopo averla rassicurata che il suo voto fosse al sicuro, le chiesi cosa effettivamente pensasse di ciò che mi aveva raccontato. Lei mi disse che mi aveva raccontato ciò che doveva raccontarmi, ciò che io volevo sentirmi raccontare, ma aggiunse che non credeva ad una sola parola di quelle teorie perché la Bibbia dice che le cose sono andate diversamente. Fu un’interrogazione laica? L’interrogativo mi è rimasto dentro.

Assumere dei ruoli (in questo caso essere studente di una scuola di cui non condivido le idee) senza lasciarsi scalfire interiormente, può essere laico? Mi chiesi anche che senso avesse limitarsi solo a non avvalersi di religione, quando poi con Scienze si avevano quei problemi, con Italiano dovevi studiare autori cattolici e Dante con la Divina commedia e in Arte dovevi continuamente avere a che fare con rappresentazioni sacre ecc. La ragazza era costretta a fare scuola non potendo accedere alla più profonda delle sue dimensioni esistenziali: quella religiosa. In altre parole, la Scuola le avrebbe dato un diploma valido per la società ma che non testimoniava nulla del suo universo di valori. Il titolo avrebbe testimoniato soltanto un’attraversata “a naso turato” di una palude, la Scuola, dalla quale non voleva essere scalfita. È questo ciò che vogliamo perseguire, quando invochiamo la laicità? Riducendo la vita spirituale, la fede, le proprie credenze, a dimensione intima e privata, non rischiamo forse di rendere insignificante l’intera impalcatura della Scuola e della Società? Chi vive la Scuola dal di dentro, sa che non è così. Quelli sulla Scuola laica sono dibattiti che si appigliano all’ideologia più che alla concreta ruvidezza quotidiana. Se ci prendessimo la briga, per esempio, di leggere le indicazioni nazionali per la Scuola del 2012, le ultime emanate e tuttora vigenti, c’imbatteremmo in belle sorprese. Esse sono il frutto di un pensiero svolto in alto, ma che nasce dal basso della concretezza. Provate, per credere, a leggere con calma le parole che seguono. “La Scuola raccoglie con successo una sfida universale, di apertura verso il mondo, di pratica dell’uguaglianza nel riconoscimento delle differenze. (…) Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi. In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora, che sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di significato”. 
Progetti educativi per individui che sollevano domande esistenziali! Quale esistenza è laica? Può una Scuola essere veramente laica? E un insegnante, che vive ogni sua dimensione esistenziale, quanto riuscirebbe ad essere laico? Se laicità volesse dire assenza di religione, non sarebbe mai raggiungibile. Ma nemmeno auspicabile! E allora a quale laicità dobbiamo tendere? Incredibilmente, l’unico riferimento alla laicità della scuola nelle indicazioni nazionali arriva quando si parla di I.r.c. (e non per limitarla, ma per darne una centralità nuova!) con parole sorprendenti ai profani: “Come espressione della laicità dello Stato, l’I.r.c. è offerto a tutti in quanto opportunità preziosa per la conoscenza del cristianesimo, come radice di tanta parte della cultura italiana ed europea”. Offerta di un’opportunità preziosa: potrebbe essere questa una traduzione possibile dell’espressione “la Scuola è laica”? Io, modestamente, lo spererei. Mi limito a far notare che l’insegnamento dell’I.r.c. è considerato “espressione della laicità dello stato”. Se laicità volesse dire effettivamente assenza di religione o di uno scopo estrinseco alla Scuola, cosa dovremmo dire di quei docenti che lavorano “per vocazione” e che sono i più? Probabilmente, chi invoca la laicità come assenza di richieste religiose, aspira effettivamente ad un’integrazione globale non centrata solo su una fede. E ci può stare. Ma non ci si può chiedere (e i documenti non ce lo chiedono) di rinunciare alla dimensione trascendente della vita. Ecco, dalla cattedra, l’aggettivo laico significa che quel ragazzino brufoloso che ho di fronte, seduto nel banco, in maniera più o meno composta e rispettosa, ha profonde istanze spirituali che io, insegnante più che docente, devo raccogliere e guidare nello sviluppo, per contribuire a farne definitivamente una persona e non un amorfo automa. Se dire la scuola è laica vuol dire questo, sono d’accordo.

Piero Del Bene

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