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Il Papa: i poveri derisi o messi a tacere perché scomodi, a volte anche in Chiesa

Francesco celebra a San Pietro la messa di chiusura del Sinodo e stigmatizza la «religione dell’io» di cui sono sudditi anche molti cattolici e che si traduce in disprezzo e sfruttamento dei più deboli: «Avviene in Amazzonia, terra dal volto sfregiato».

Aveva aperto il Sinodo denunciando il «disprezzo» del mondo occidentale verso le popolazioni indigene. Francesco chiude oggi l’assise tornando a stigmatizzare l’atteggiamento di superiorità e distacco dell’uomo nei confronti di un altro uomo, dogma di quella «religione dell’io» praticata da molti cattolici abituali frequentatori delle Messe, che porta a ritenere gli altri, specie i più poveri, «arretrati e di poco valore». E che nell’applicazione pratica si traduce nello svilimento delle loro tradizioni, nella cancellazione delle loro storie, nell’occupazione dei territori e nell’usurpazione dei beni. 

Esattamente il paradigma dei mali dell’Amazzonia, terra dal «volto sfregiato» da «modelli di sviluppi predatori», ma anche delle problematiche che vive il mondo di oggi, sottolinea Francesco durante la celebrazione nella Basilica di San Pietro. Oltre 200 tra cardinali e vescovi sono presenti alla liturgia, scevra da ogni simbolo o elemento “amazzonico” tranne per le letture e le preghiere in portoghese e il pastorale in legno, intarsiato di volti dai tratti indigeni, dono dei Padri Sinodali al Papa.

Tutta l’omelia del Pontefice trae le mosse dalla parabola del fariseo e del pubblicano: entrambi pregano, solo che il primo, «traboccante della propria sicurezza, della propria capacità di osservare i comandamenti, dei propri meriti e delle proprie virtù», «centrato solo su di sé» e «senza amore», dimentica Dio e dimentica il prossimo. «Anzi lo disprezza». 

Pratica cioè «la religione dell’io» e, come lui, «tanti cristiani, cattolici vanno su questa strada», osserva a braccio il Papa. «Quante volte - afferma - chi sta davanti, come il fariseo rispetto al pubblicano, innalza muri per aumentare le distanze, rendendo gli altri ancora più scarti. Oppure, ritenendoli arretrati e di poco valore, ne disprezza le tradizioni, ne cancella le storie, ne occupa i territori, ne usurpa i beni. Quante presunte superiorità, che si tramutano in oppressioni e sfruttamenti, anche oggi!». 

Lo si vede in Amazzonia, dove i territori sono abusati e la gente vittima di «tratta» e di «commercio», ma anche nell’evoluta Europa per il trattamento riservato ai malati. «Provvidenzialmente oggi ci accompagnano in questa messa non solo gli aborigeni dell’Amazzonia, ma anche i più poveri delle società sviluppate, gli ammalati della comunità dell’Arche, sono con noi in primo piano», dice Papa Bergoglio, staccando per un istante gli occhi dal testo scritto, per rendere loro omaggio.

Gli indigeni, come i malati e gli anziani, come i bambini e le donne, sono, secondo la logica del fariseo, i «loipoi», «i rimanenti, i restanti». «Sono, cioè, “rimanenze”, scarti da cui prendere le distanze. Quante volte vediamo questa dinamica in atto nella vita e nella storia!», esclama il Papa. «Gli errori del passato non son bastati per smettere di saccheggiare gli altri e di infliggere ferite ai nostri fratelli e alla nostra sorella terra: l’abbiamo visto nel volto sfregiato dell’Amazzonia. La religione dell’io continua, ipocrita con i suoi riti e le sue “preghiere”, dimentica del vero culto a Dio, che passa sempre attraverso l’amore del prossimo». 

«Anche cristiani che pregano e vanno a Messa la domenica sono sudditi di questa religione dell’io», si rammarica il Vescovo di Roma. Ribadisce pertanto l’invito a «guardarci dentro» per «vedere se anche per noi qualcuno è inferiore, scartabile, anche solo a parole». Poi esorta a pregare e chiedere «la grazia di non ritenerci superiori, di non crederci a posto, di non diventare cinici e beffardi. Chiediamo a Gesù di guarirci dal parlare male e dal lamentarci degli altri, dal disprezzare qualcuno: sono cose sgradite a Dio». 

Ciò che invece è gradito a Dio è la preghiera del pubblicano, il quale «non comincia dai suoi meriti, ma dalle sue mancanze; non dalla sua ricchezza, ma dalla sua povertà: non una povertà economica – i pubblicani erano ricchi e guadagnavano pure iniquamente, a spese dei loro connazionali – ma una povertà di vita, perché nel peccato non si vive mai bene». 

«Quell’uomo si riconosce povero davanti a Dio e il Signore ascolta la sua preghiera, fatta di sole sette parole ma di atteggiamenti veri», come il fatto di stare a distanza, battersi il petto, non osare nemmeno alzare gli occhi al cielo. «La sua preghiera nasce dal cuore, è trasparente: mette davanti a Dio il cuore, non le apparenze», evidenzia Papa Francesco. «Pregare è lasciarsi guardare dentro da Dio senza finzioni, senza scuse, senza giustificazioni. Tante volte ti fa ridere sentire i pentimenti pieni di giustificazione: più che pentimento sembra un auto-causa di canonizzazione».

Dio è «luce e verità», mentre «dal diavolo vengono opacità e falsità», afferma il Papa. E ringrazia i «fratelli sinodali» perché tutti i lavori sono stati condotti con questa parrésia: «È stato bello e ve ne sono grato», dice, «aver dialogato in queste settimane col cuore, con sincerità e schiettezza, mettendo davanti a Dio e ai fratelli fatiche e speranze». 

È dall’affidarsi a Dio che bisogna ripartire, riconoscendosi «bisognosi di salvezza, tutti». «È il primo passo della religione di Dio, che è misericordia verso chi si riconosce misero. Invece, la radice di ogni sbaglio spirituale, come insegnavano i monaci antichi, è credersi giusti. Ritenersi giusti è lasciare Dio, l’unico giusto, fuori di casa», evidenzia il Papa. «Chi è bravo ma presuntuoso fallisce; chi è disastroso ma umile viene esaltato da Dio», ammonisce.

Infine conclude rinnovando l’appello a favore dei poveri: sono «i portinai del Cielo» che «ci spalancheranno o meno le porte della vita eterna, loro che non si sono considerati padroni in questa vita, che non hanno messo se stessi prima degli altri, che hanno avuto solo in Dio la propria ricchezza. Essi sono icone vive della profezia cristiana». Spesso le loro voci «non sono ascoltate e magari vengono derise o messe a tacere perché scomode». «Preghiamo - insiste il Papa - per chiedere la grazia di saper ascoltare il grido dei poveri: è il grido di speranza della Chiesa».

SALVATORE CERNUZIO


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