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Così la fede di Wojtyla vinse i proiettili di Agca

In "Il Papa doveva morire" Antonio Preziosi ricostruisce l'agguato al pontefice nei dettagli




Tredici maggio del 1981, mercoledì pomeriggio. Sono le 17 e 30 circa, una ambulanza con la sirena rotta cerca a fatica di farsi strada nel traffico caotico di Roma. L'autista suona il clacson. Accanto a lui un infermiere si sbraccia a più non posso. Alla fine riesce a farsi largo tra le auto, verso il policlinico Gemelli.

Nessuno dall'esterno potrebbe immaginare che sdraiato sulla barella all'interno c'è un uomo vestito di bianco ma macchiato di sangue: è Giovanni Paolo II. Pochi minuti prima, alle 17 e 17, mentre attraversava piazza San Pietro sulla «Papa mobile» è stato bersagliato dai proiettili di Mehmet Ali Agca, che ha aperto il fuoco contro di lui con una Browning Hp calibro 9 Parabellum, arma famosa per affidabilità e letalità.

È proprio mentre viaggia su quell'ambulanza che la vita del pontefice appare legata al filo più sottile. Ma, alla fine, gli sforzi umani, o la divina provvidenza per chi è credente, riusciranno ad aver ragione dell'insano progetto di morte che ha condotto Agca sino a Roma. Il Papa polacco, uomo dalla tempra fisica e morale adamantina, si salverà e l'attentato diventerà per lui una ulteriore occasione per dar forza al suo pontificato.

Parte proprio dalla corsa verso il policlinico Gemelli il saggio di Antonio Preziosi che, a quasi quarant'anni di distanza, ricostruisce con grande precisione quegli eventi: Il Papa doveva morire. La storia dell'attentato a Giovanni Paolo II (San Paolo, pagg. 240, euro 22). Preziosi, giornalista radiotelevisivo (è direttore di Rai Parlamento), molto attento alle vicende vaticane, ha il merito in questo testo di inserire la narrazione della cronaca in un contesto molto più ampio.

Il saggio, con la prefazione di Monsignor Rino Fisichella, rende ben chiaro al lettore, anche a quello troppo giovane per averne memoria diretta, la dinamica del fatto. Dalla maniacale determinazione di Agca a sparare al pontefice, maturata sin dalla visita di quest'ultimo in Turchia, sino ai dettagli del disperato intervento chirurgico iniziato sfondando la porta bloccata della sala operatoria, passando dall'incredibile coraggio della suora (o delle suore, questo è uno dei misteri della vicenda) che si lanciarono contro l'attentatore bloccandolo. Ma la parte più interessante del lavoro è quella in cui, attraverso moltissime testimonianze, Preziosi ricostruisce il percorso di fede che Wojtyla ha approfondito a partire dal momento stesso in cui è stato colpito. Ancora a bordo dell'ambulanza, e quasi moribondo, il Papa parlando al suo segretario don Stanislao, ma rivolgendosi al suo attentatore di cui non sapeva ancora nulla, disse: «Io ti perdono ed offro tutto questo che mi è capitato per la Chiesa e per il mondo».

Su questa vocazione al perdono, legata al culto mariano, si è poi innestata una profonda riflessione sul terzo segreto di Fatima che Wojtyla ha deciso di rendere pubblico nel Duemila.

Insomma, Preziosi offre a chi compulsa il volume la lettura specifica che di quell'episodio dette colui che ne fu protagonista e vittima, san Giovanni Paolo II, che «non cessò mai di dare di quell'episodio una lettura mistica e spirituale coerente con il suo pensiero e la sua fede». Il Papa polacco associò immediatamente all'attentato, avvenuto nell'anniversario della prima apparizione a Fatima nel 1917, l'adempimento del terzo segreto rivelato dalla Madonna e attribuì la sua salvezza all'intervento diretto della Vergine, alla quale fin da giovane si era sempre rivolto con l'espressione latina «totus tuus».

Il libro ovviamente fornisce anche al lettore tutte le informazioni necessarie a valutare bene anche quello che Wojtyla definì, parlando con Montanelli, il «garbuglio» relativo a come e perché Agca arrivò in piazza San Pietro e se fosse solo. Nel corso degli anni il killer turco ha fornito un numero impressionante di versioni contrastanti. Preziosi da professionista dell'informazione qual è non si mette a fare inutili sensazionalismi, a quelli ci ha pensato già Agca che ha cambiato versione sull'attentato 52 volte. Nei suoi deliri ha accusato come mandante persino Khomeyni (ha anche sostenuto di essere Gesù). Preziosi semplicemente segnala le zone d'ombra e le prove che gli inquirenti hanno trovato su quella che è apparsa come la pista più ragionevole: quella bulgara.

Alla fine anche in questo caso Wojtyla si disinteressò rapidamente delle indagini. Pensava fosse in atto una grande lotta mistica tra il bene e il male e in quel contesto il killer da lui perdonato, e poi personalmente incontrato in carcere, fosse solo «un poveretto» bisognoso di grande pietà cristiana. Pietà che dal pontefice Agca ricevette ma non chiese, pare che ad ossessionarlo fosse solo il fatto di non spiegarsi come avesse fallito, lui che si riteneva il killer perfetto.

Del resto non fu il solo tentativo di uccidere Wojtyla andato a vuoto, contro il pontefice si ricordano almeno 5 veri e propri attentati e svariate aggressioni di mitomani. In più di un caso si trattava di attacchi pensati con cariche esplosive, come in Bosnia nel 1997. Che sia stata fortuna o divina provvidenza non sta a noi dirlo. Wojtyla aveva però a riguardo un'idea precisa.

Matteo Sacchi

FONTE: IL GIORNALE

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