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Il Papa torna ad affacciarsi per il Regina Coeli: “Mi mancava la piazza”. Appello per l’Ucraina orientale

Dalla finestra del Palazzo Apostolico, Francesco dice di osservare «con inquietudine» l’incremento delle attività militari al confine del Paese est europeo: «Si favoriscano pace e riconciliazione»



«Grazie a Dio possiamo ritrovarci in questa piazza per l’appuntamento festivo e domenicale. Io vi dico una cosa: mi manca la piazza, quando devo fare l’Angelus in Biblioteca. E sono contento… Grazie a Dio!». Dopo la chiusura dal 21 marzo al 5 aprile, a causa delle misure di contrasto della pandemia di Covid, Papa Francesco è tornato oggi ad aprire le famose ante dello studio del Palazzo Apostolico per recitare il Regina Caeli, la preghiera mariana del tempo di Pasqua, in piazza San Pietro.

Il Papa ha ringraziato fedeli romani e pellegrini stranieri riuniti nel grande spazio tra le colonne del Bernini con le bandiere e sotto una leggera pioggerella. A loro ha chiesto di pregare insieme un’Ave Maria per l’Ucraina orientale, dove in alcune aree si sono moltiplicate in questo tempo le violazioni del “cessate il fuoco”, stabilito nel luglio dello scorso anno da Ucraina, Russia e negoziatori dell’Osce. «Questa è una cosa triste», ha detto il Papa. «Osservo con inquietudine l’incremento delle attività militari», in riferimento alle truppe in movimento al confine per le quali la Nato ha chiesto giorni fa lo stop immediato.

«Per favore…», è stato l’appello del Papa. «Auspico fortemente che si eviti l’aumento della tensione e, al contrario, si pongano gesti capaci di promuovere la fiducia reciproca e favorire la riconciliazione e la pace, tanto necessarie e tanto desiderate. Si abbia a cuore anche la grave situazione umanitaria in cui versa quella popolazione alla quale esprimo la mia vicinanza e per la quale vi invito a pregare. Preghiamo insieme».

Nella sua catechesi prima del Regina Coeli, Francesco si è soffermato invece sul Vangelo odierno che racconta di Gesù risorto che si presenta ai discepoli nel Cenacolo. «Pace a voi!», dice Cristo, ma gli apostoli sono spaventanti come se vedessero un «fantasma». Anzi, ha aggiunto il Papa a braccio, «c’è un particolare qui in questa descrizione: gli apostoli per la grande gioia ancora non credevano. Era tale la gioia che non credevano che fosse vero quello. Erano stupefatti, stupiti, perché l’incontro con Dio sempre ti porta allo stupore, porta alla gioia, porta all’entusiasmo… Ma una gioia che dicono: “No, questo non può essere vero!”. Non dimenticare questo stato d’animo che è tanto bello».

Nel Cenacolo, Gesù invita ad azioni molto concrete: «Guardare» le sue mani e i suoi piedi, «toccare» le sue ferite, «mangiare», perché chiede ai discepoli del cibo in modo da convincerli che è vivo. «Guardare, toccare e mangiare», ha sottolineato il Papa, sono tre verbi che «riflettono in un certo senso la nostra vita personale e comunitaria» e che «possono dare la gioia di un vero incontro con Gesù vivo». Gesù, infatti, ha rimarcato il Pontefice, «non è un “fantasma”, ma una Persona viva». Ed «essere cristiani non è prima di tutto una dottrina o un ideale morale, è la relazione viva con Lui, con il Signore Risorto: lo guardiamo, lo tocchiamo, ci nutriamo di Lui e, trasformati dal suo Amore, guardiamo, tocchiamo e nutriamo gli altri come fratelli e sorelle».

«Guardare», ha spiegato ancora Francesco, «non è solo vedere, è di più, comporta anche l’intenzione, la volontà. Per questo è uno dei verbi dell’amore. La mamma e il papà guardano il loro bambino, gli innamorati si guardano a vicenda; il bravo medico guarda il paziente con attenzione… Guardare è un primo passo contro l’indifferenza, contro la tentazione di girare la faccia davanti alle difficoltà e alle sofferenze degli altri».

Il secondo verbo, «toccare», è il segno dell’amore che «chiede la vicinanza, il contatto, la condivisione della vita». «Non esiste un cristianesimo a distanza, non esiste solo un cristianesimo nel piano dello sguardo solo. L’amore chiede di guardare e anche la vicinanza, chiede il contatto, la condivisione della vita», ha affermato il Papa, ricordando il buon samaritano che «non si è limitato a guardare quell’uomo che ha trovato mezzo morto lungo la strada: si è chinato, gli ha medicato le ferite, lo ha caricato sulla sua cavalcatura e l’ha portato alla locanda».

Infine, «mangiare», azione che «esprime bene la nostra umanità nella sua più naturale indigenza», cioè il bisogno di nutrirsi per vivere. «Ma il mangiare, quando lo facciamo insieme, in famiglia o tra amici, diventa pure espressione di amore, di comunione, di festa…», ha detto il Papa. «Quante volte i Vangeli ci presentano Gesù che vive questa dimensione conviviale! Anche da Risorto, con i suoi discepoli. Al punto che il Convito eucaristico è diventato il segno emblematico della comunità cristiana. Mangiare insieme il Corpo di Cristo, questo è il centro della vita cristiana».

Al momento dei saluti, Jorge Mario Bergoglio ha ricordato la beatificazione celebrata ieri dal cardinale Marcello Semeraro nell’abbazia cistercense di Casamari, di Simone Cardon e cinque compagni martiri, religiosi della congregazione: «Nel 1799, quando i soldati francesi in ritirata da Napoli saccheggiarono chiese e monasteri, questi miti discepoli di Cristo resistettero con coraggio eroico fino alla morte per difendere l’eucarestia dalla profanazione. Il loro esempio ci spinga ad un maggiore impegno di fedeltà a Dio, capace di trasformare la società e renderla più giusta e fraterna. Un applauso ai nuovi beati».

Francesco si è infine unito a professori e studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per celebrare la Giornata dell’Ateneo che «da cento anni svolge un prezioso servizio per la formazione delle nuove generazioni». «Possa - è stato l’augurio del Papa - continuare a svolgere la sua missione educativa per aiutare i giovani ad essere protagonisti di un futuro ricco di speranza».

Salvatore CERNUZIO


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