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San Giovanni Paolo II, 42 anni dopo: omaggio al Papa della famiglia

Ha lasciato una scia impossibile da ignorare. È il Papa dei giovani, dei viaggi apostolici e del dialogo interreligioso, ma soprattutto è il Papa della famiglia. Sono trascorsi 42 anni dalla sua elezione, ma ancora oggi Karol Wojtyla è nel cuore del mondo.

«Se mi sbaglio, mi corrigerete» questa la storica frase con cui, mostrandosi alla folla radunata in piazza San Pietro, il nuovo Papa si presentò al popolo dei credenti. Erano le 18.45 del 16 ottobre di quarantuno anni fa, il cardinale Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, era stato eletto 264° Papa, scegliendo di chiamarsi Giovanni Paolo II. Iniziava così uno dei pontificati più lunghi della storia della Chiesa. 

Primo Pontefice non italiano dopo più di quattrocento anni, Giovanni Paolo II ha guidato la Chiesa per 26 lunghissimi anni. La tempra dura e determinata, lo sguardo arguto, il sorriso dolce ma autorevole, Karol ha saputo raccogliere l’eredità dei suoi predecessori in particolare quella di Paolo VI. 

È Il Pontefice dell’attentato del 1981, quello che ha abbattuto il muro di Berlino, che ha viaggiato più di tutti i suoi predecessori messi insieme, annunciando il Vangelo fino agli estremi confini della Terra. È il Papa delle GMG, che ha saputo raccogliere il grido dei giovani e radunarli intorno a Cristo Signore. Ma noi vogliamo ricordarlo come il Papa della famiglia. A dargli questo appellativo il Santo Padre, Francesco, nel giorno della sua canonizzazione e mai sintesi fu più appropriata di questa per un uomo che continua a far parlare di sé soprattutto quando sono in gioco i temi legati alla famiglia e alla vita nascente. 

Energico e determinato san Giovanni Paolo II seppe intervenire sulle questioni etiche senza timori, con la ragione della verità e con l’autorevolezza di Dio. Sua l’Enciclica Evangelium vitae (1995) in cui non perse occasione per sottolineare: “Ciascun uomo, proprio a motivo del mistero del Verbo di Dio che si è fatto carne (cf. Gv 1, 14), è affidato alla sollecitudine materna della Chiesa. Perciò ogni minaccia alla dignità e alla vita dell’uomo non può non ripercuotersi nel cuore stesso della Chiesa, non può non toccarla al centro della propria fede nell’incarnazione redentrice del Figlio di Dio, non può non coinvolgerla nella sua missione di annunciare il Vangelo della vita in tutto il mondo e ad ogni creatura (cf. Mc 16, 15). Oggi questo annuncio si fa particolarmente urgente per l’impressionante moltiplicarsi ed acutizzarsi delle minacce alla vita delle persone e dei popoli, soprattutto quando essa è debole e indifesa. Alle antiche dolorose piaghe della miseria, della fame, delle malattie endemiche, della violenza e delle guerre, se ne aggiungono altre, dalle modalità inedite e dalle dimensioni inquietanti. Già il Concilio Vaticano II, in una pagina di drammatica attualità, ha deplorato con forza molteplici delitti e attentati contro la vita umana. A trent’anni di distanza, facendo mie le parole dell’assise conciliare, ancora una volta e con identica forza li deploro a nome della Chiesa intera, con la certezza di interpretare il sentimento autentico di ogni coscienza retta: «Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l’integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l’intimo dello spirito; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni infraumane di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili; tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e, mentre guastano la civiltà umana, inquinano coloro che così si comportano ancor più che non quelli che le subiscono; e ledono grandemente l’onore del Creatore»”. (Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, 3). 

Come dimenticare poi la Lettera Apostolica Mulieris dignitatem (1988). “Le risorse personali della femminilità non sono certamente minori delle risorse della mascolinità, ma sono solamente diverse. La donna dunque – come, del resto, anche l’uomo – deve intendere la sua «realizzazione» come persona, la sua dignità e vocazione sulla base di queste risorse, secondo la ricchezza della femminilità, che ella ricevette nel giorno della creazione e che eredita come espressione a lei peculiare dell’«immagine e somiglianza di Dio». Solamente su questa via può essere superata anche quell’eredità del peccato che è suggerita dalle parole della Bibbia: «Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». Il superamento di questa cattiva eredità è, di generazione in generazione, compito di ogni uomo, sia donna che uomo. Infatti, in tutti i casi nei quali l’uomo è responsabile di quanto offende la dignità personale e la vocazione della donna, egli agisce contro la propria dignità personale e la propria vocazione”. (San Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 10) 

Sua, infine, la Teologia del corpo racchiusa nella raccolta della catechesi delle Udienze generali del mercoledì tenute dal settembre 1979 al novembre 1984. Quanto dobbiamo a questo grande uomo “venuto da lontano”! 
Dopo 42 anni, è estremamente significativo che l’anniversario della sua elezione giunga due giorni dopo la canonizzazione di Paolo VI e a pochi giorni di distanza dalla notizia dell’inizio del processo di canonizzazione dei suoi genitori. Il Papa della famiglia continua ad operare nella comunione dei santi. Grazie Karol! 

Ida Giangrande 


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