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La debole voce del Papa, la forza della sofferenza

Era necessario ascoltare la voce del Papa, risuonata nella serata di giovedì 6 marzo in piazza san Pietro, durante la preghiera del Rosario, per comprendere la sua sofferenza. Poche parole che in poco tempo hanno fatto il giro del web: “Ringrazio di cuore per le vostre preghiere per la mia salute dalla Piazza, vi accompagno da qui. Che Dio vi benedica e che la Vergine vi custodisca. Grazie”. Una voce debole e affaticata, poco più di un soffio. Ha parlato in spagnolo, la sua lingua madre, un ulteriore segnale della fatica.


Dal 14 febbraio, giorno del suo ricovero al Gemelli, è la prima volta che Francesco fa sentire la sua voce. Una scelta che, secondo alcuni commentatori, risponde alla necessità di smorzare le stupide polemiche di chi accusa la Santa Sede di nascondere la verità sulla sua reale condizione di salute.

Il messaggio del Papa, in realtà, è la voce di un padre che desidera ringraziare i figli per l’affetto che hanno manifestato. Non può né vuole rassicurarli, anzi quella voce così flebile conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che la sua salute è assai precaria. Il Papa ha deciso di non mostrarsi, dal Gemelli non filtra nessuna foto. In realtà la voce è più eloquente di una foto, riflette fedelmente la persona, comunica lo stato emotivo e lascia intravedere senza filtri la condizione psico-fisica. Il Papa non si nasconde.

Rileggendo il suo ministero sulla cattedra di Pietro, nell’anniversario della sua elezione, Paolo VI ha offerto una luminosa testimonianza di fede: “Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio, non già perché io vi abbia qualche attitudine, o perché io governi e salvi la Chiesa dalle sue difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, non altri, la guida e la salva” (Udienza generale, 21 giugno 1972). Papa Montini faceva riferimento alla sofferenza interiore che provava dinanzi ad una crisi ecclesiale senza precedenti. Non nascondeva inquietudini e amarezza ma, fedele al Vangelo, presentava la sua personale via crucis come una partecipazione all’opera salvifica realizzata dal Figlio di Dio.

Le parole di Paolo VI descrivono bene la condizione di Papa Francesco. I vari comunicati ufficiali della Sala Stampa Vaticana hanno cercato di presentare un Papa che, malgrado la sofferenza, continuava a governare la Chiesa, ricevendo i suoi più stretti collaboratori, firmando nomine episcopali e altri documenti. Non ultimo il riferimento alla telefonata alla parrocchia di Gaza. Tutte cose belle ma… corriamo il rischio di dimenticare che in questo momento, il Papa governa la Chiesa attraverso la sofferenza e non malgrado la sofferenza.

Nessuno può dire se questa è l’ultima tappa del suo fecondo ministero o un altro capitolo del suo pontificato. Una cosa è certa: in questo momento il Papa vive nella sua carne la passione di Cristo. Abbiamo bisogno di un Papa che, come il suo Signore, sappia annunciare con autorità il Vangelo e sappia chinarsi sulle piaghe dei poveri. Un Papa che insegna a coniugare verità e carità. Ma abbiamo anche bisogno di un Papa che annuncia il Vangelo della sofferenza. Un Papa che fa della debolezza la sua forza. Un Papa che condivide la fatica e i timori, le angosce e le speranze, di quanti portano il peso della malattia. Un Papa che soffre è ancora più vicino a chi lotta e patisce per custodire la vita, la sua e quella degli altri.

“La sofferenza è un dono”, ha detto Giovanni Paolo II. Parlava della sua personale esperienza. Al termine di una lunga degenza ospedaliera, disse: “ho compreso che devo introdurre la Chiesa di Cristo in questo Terzo Millennio con la preghiera, con diverse iniziative, ma ho visto che non basta: bisognava introdurla con la sofferenza, con l’attentato di tredici anni fa e con questo nuovo sacrificio”. Era il 1994, il Papa sapeva già di essere afflitto dal morbo di Parkinson ed era perciò consapevole che lo attendevano anni difficili. E si preparava ad affrontarli con la certezza che la sofferenza non era un incidente di percorso ma parte integrante del suo ministero.

“Mi raccomando, pregate per me”: quante volte Papa Francesco ha consegnato questa semplice e accorata esortazione. Il popolo cristiano prega sempre per il Papa, lo fa nella quotidiana celebrazione eucaristica, la recita del Rosario si conclude sempre con una speciale intenzione per il Santo Padre. Questa preghiera ora si fa ancora più intensa e convinta.

Silvio LONGOBARDI

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