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8 Marzo – Giornata internazionale della Donna

"Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna !
Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani ". 

" Grazie a te, donna sorella, che porti nel complesso della vita sociale le ricchezze della sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità, della tua costanza ".
(SAN Giovanni Paolo II)



La vera vittoria del femminismo consisterebbe, paradossalmente, nel non aver più bisogno di parlare di femminismo e di diritti della donna; purtroppo però dobbiamo constatare che la lotta per l’effettiva parità fra i due sessi è ancora tutta da vincere.
Partiamo da una constatazione positiva: gli ultimi quarant’anni hanno segnato un continuo miglioramento della condizione femminile, registrando un processo evolutivo che si spera sia irreversibile. Oggi tutte le donne occidentali studiano, lavorano, hanno opportunità di fare carriera ed hanno ormai per mariti uomini civili e sensibili, che non rifiutano la collaborazione nei lavori domestici e nell’educazione dei figli.
D’altra parte, le donne sono ancora le più esposte alla disoccupazione nei momenti di crisi, mentre la loro presenza nei posti dirigenziali meglio retribuiti è tuttora sporadica, nonostante le loro competenze siano ormai paragonabili a quelle dei colleghi uomini; per molte risulta particolarmente oneroso conciliare carriera e famiglia, tanto che alla fine esse si trovano di fronte al dilemma se devono sacrificare la possibilità di dimostrare il proprio talento oppure la gioia di amare e di essere amate. Se si guarda al di fuori delle classi privilegiate, si scopre una situazione ancora più drammatica. Troppe donne, nei nostri paesi civilizzati, sono vittime di violenze e di maltrattamenti persino nell’ambito familiare, e troppe sono quelle costrette a vendere, assieme al corpo, la loro dignità. Al di fuori del mondo occidentale, poi, la maggior parte delle donne non ha accesso né all’istruzione, né all’assistenza sanitaria, mentre tradizioni assurde e crudeli impongono la pena di morte per le vittime della violenza sessuale.

Risulta chiaro pertanto che la rivendicazione dei diritti della donna si identifica sempre più con l’affermazione dei diritti umani, senza i quali non può esistere civiltà. In questo tentativo la Chiesa ha il dovere di schierarsi in prima linea, non soltanto con il lavoro silenzioso ed eroico dei missionari, che si impegnano direttamente nell’evangelizzazione e nello sviluppo dei paesi del Terzo Mondo, ma anche con tutta l’autorità di cui essa gode a livello internazionale. Nelle sedi appropriate i cristiani devono affermare con chiarezza e con coraggio che non si possono giustificare abusi e vessazioni nei confronti delle donne in nome della tolleranza e del pluralismo. Ciò deve essere chiaro anche quando si tenta di instaurare un dialogo con religioni tradizionalmente maschiliste: l’apertura verso altre forme di spiritualità non può infatti avvenire a scapito della dignità umana.
Lo studio attento delle Scritture dimostra che, nonostante alcune differenze legate alla natura, l’uomo e la donna sono ontologicamente uguali. Tale condizione è dichiarata esplicitamente nella prima pagina del Genesi, in quello splendido inno della creazione dell’universo: «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse» (Gen 1,27-28).
Quindi l’uomo e la donna sono «immagine di Dio». Basterebbe riflettere su questo punto per comprendere che ogni discriminazione rappresenta una profanazione nei confronti della stessa divinità. Se imparassimo a riconoscere l’immagine di Dio nell’uomo e nella donna che incontriamo ogni giorno, rifiuteremmo automaticamente tutti i comportamenti che offendono tale immagine. Gesù è ancora più esplicito a riguardo: «Qualunque cosa abbiate fatto al più piccolo dei fratelli, lo avete fatto a me» (Mt 25,40).
Il testo biblico non si limita ad affermare la somiglianza fra l’uomo e Dio, ma aggiunge un particolare importantissimo: «Dio li benedisse». La benedizione di Dio accompagna in pari misura sia l’uomo che la donna in tutta la storia della salvezza. Entrambi sono benedetti da Dio fin dall’inizio della creazione, entrambi sono redenti da Cristo, entrambi nella Pentecoste diventano «tempio dello Spirito Santo». Di fronte allo Spirito «non esiste più, né uomo né donna», ma tutti diventano uno in Cristo.
Per quanto riguarda i rapporti fra uomo e donna, le Scritture affermano chiaramente che essi sono chiamati a diventare «una sola carne». Si tratta di un’unione profonda e radicale, che consente di considerare il marito o la moglie come parte di se stessi; al livello più alto tale unione impone ai coniugi di amarsi secondo il modello di Gesù, che per amore ha sacrificato la sua divinità, ha spezzato il proprio corpo, ha versato il proprio sangue ed ha donato la sua vita.
Creati ad immagine di Dio per essere una sola carne, benedetti e redenti, eletti a dimora dello Spirito, l’uomo e la donna si trovano pertanto ad essere coautori del progetto di Dio, che riguarda la salvezza del genere umano e di tutto il creato. Di fronte a tale progetto, le differenze biologiche sono del tutto irrilevanti e riguardano esclusivamente la continuità della vita. Invocarle per giustificare qualsiasi altra forma di discriminazione è un attentato alla sacralità della vita e della vocazione umana.
Di questo progetto di salvezza i cristiani sono chiamati a dare una testimonianza forte ed inequivocabile. Il femminismo cristiano non è ostilità nei confronti degli uomini, ma piuttosto opposizione verso tutto ciò che impedisce alla donna di realizzare pienamente la propria vocazione, sia dentro che fuori dall’ambito familiare. E’ opposizione a qualunque forma di violenza, oppressione e schiavitù, in quanto violazione dei diritti umani. E’ affermazione di dignità e di sacralità della vita.
In questo senso anche gli uomini devono sentirsi pienamente partecipi alla lotta per i diritti delle donne. Nessun cristiano degno di questo nome ha il diritto di restare indifferente di fronte alle sofferenze della metà del genere umano — tanto meno ha il diritto di approvarle o di esserne colpevole. Non si tratta semplicemente di essere testimoni di amore e di giustizia di fronte agli uomini: si tratta piuttosto di essere degni della salvezza di Dio.

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