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Lo Stato, le emergenze e la coscienza civile.

"...nessuno strumento, nessuna ricetta, nessuna indicazione può ritenersi generalmente valida e superiore o infallibile, in mancanza di una matura coscienza civica. Quella che, se in grado di assurgere a valore ampio e condiviso, può assumere natura di obbligazione morale e, così, finanche in grado di condizionare e forse superare l’obbligazione giuridica".



Nel periodo emergenziale causato dall’epidemia dal “corona virus”, pochi hanno considerato le diverse modalità, con conseguenti tempistiche, con le quali la Cina ed i paesi europei, l’Italia prima tra tutti, hanno affrontato l’epidemia.

In Cina, dove addirittura inizialmente si era cercato di nascondere il problema, in pochi giorni sono state prese decisioni drastiche per bloccare l’epidemia, senza indugiare troppo nel garantire i diritti dei cittadini, invero già storicamente limitati; al punto che è stato piuttosto semplice disporre una quarantena ampia e generalizzata per milioni di persone. Qualcuno in Italia ha plaudito, reclamando a gran voce e fin dal primo momento l’intervento dell’esercito ed ogni altra specie di strumento coercitivo. Con ciò dimenticando che in Italia (per fortuna!), al pari di tutte le democrazie, le cose funzionano diversamente.

Vincoli costituzionali, equilibri tra i diversi poteri dello Stato, regole che disciplinano e limitano gli ambiti operativi del pubblico potere, norme di salvaguardia dei diritti della persona, libertà di espressione del pensiero che genera opinioni diverse cui i rappresentanti politici prestano attenzione generando i tipici dibattiti parlamentari. A tutto questo è estranea la Cina, al contrario dell’Italia.

La Costituzione italiana prevede limiti ai diritti fondamentali attraverso l’attivazione di poteri di emergenza riconosciuti al potere esecutivo (al Governo, anche in mancanza dell’autorizzazione parlamentare) per ragioni di necessità eccezionali (quali disastri naturali, pandemie, terrorismo, minacce di guerra), ma il dibattito in ordine alle concrete modalità di esercizio di tali poteri emergenziali appassiona gli studiosi di diritto. Al fondo, la preoccupazione che i poteri straordinari vengano usati non per contrastare reali situazioni emergenziali, bensì per ridimensionare libertà e, con esse, fondamentali principi democratici.

Non a caso una delle situazioni eccezionali, più estrema, rappresentata dallo stato di guerra (art. 78 Cost.), prevede che il Parlamento conferisca al Governo non già “pieni poteri”, bensì i “poteri necessari”, cioè proporzionali ed adeguati alle situazioni specifiche, in modo da gestire comunque l’emergenza in un corretto ed equilibrato ambito costituzionale. Con la particolarissima specificazione che anche “…L’ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito democratico della Repubblica” (art. 52, 3°c., Cost.), specificazione voluta da un giovane Aldo Moro e che vale a considerare come una democrazia, se solida e matura, abbia la possibilità di affrontare ogni qualsivoglia emergenza affidandosi sì allo Stato, ma senza mai perderne il proprio carattere, neanche laddove vi sia esigenza di affidarsi alle Forze Armate.

Fondamentalmente il vero deterrente all’abuso dei poteri straordinari – ovvero all’utilizzo distorto – si rinviene in una matura e civile coscienza sociale. Quella che, allo stesso modo, dovrebbe indurre a comprendere, giustificare e tollerare la straordinarietà degli eventi adeguandosi alle specifiche prescrizioni. Tanto più che qualunque prescrizione, specie se considerevole, funziona efficacemente se interiorizzata, cioè fatta propria nella coscienza dell’individuo attraverso un percorso di maturità civica che solo la presenza di un regime costituzionale autorevole può favorire.

La differenza tra Cina ed Italia è palese.

Una tra tante: il nostro stato di emergenza nazionale adottato per sei mesi con delibera del Consiglio di Ministri (31.01.2020), ma in conformità di quanto previsto dal Codice della Protezione Civile (art. 24, D.Lgs. n. 1 del 02.01.2018), stato di emergenza che costituisce il presupposto per la emanazione dei successivi atti adottati in via straordinaria dal Governo.

Senza trascurare, poi, che le limitazioni più discusse e relative alle libertà personali (circolazione, riunione, chiusure di scuole, luoghi ed esercizi pubblici, sospensione di attività lavorative e di trasporto merci, come da d.l. n. 6 del 23.02.2020 e successivi) sono stabilite in maniera temporanea e proporzionata rispetto alla evoluzione dello stato emergenziale, salvaguardando rapporti e competenze tra Stato, Regioni ed Enti Locali.

Il tutto con allo sfondo il delicato equilibrio tra diritti inviolabili e doveri di solidarietà, come previsto dall’art. 2 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

Ce l’hanno in Cina una norma primaria così?

Fermo restando che, come qualche attento commentatore ha giustamente ricordato citando Niccolò Macchiavelli, nella Roma Repubblicana il “dittatore”, magistrato con pieni poteri per un periodo di tempo limitato, previsto e vincolato dalle leggi, fronteggiava le emergenze senza pregiudicare le libertà repubblicane; i “decemviri”, invece, scelti per fare le leggi, cui venne affidato un mandato privo di vincoli, si fecero tiranni.

A conferma che nessuno strumento, nessuna ricetta, nessuna indicazione può ritenersi generalmente valida e superiore o infallibile, in mancanza di una matura coscienza civica. Quella che, se in grado di assurgere a valore ampio e condiviso, può assumere natura di obbligazione morale e, così, finanche in grado di condizionare e forse superare l’obbligazione giuridica.

Ce l’abbiamo, in Italia o nel resto del mondo ormai globalizzato, una coscienza così?

Adoperiamoci tutti per realizzare questo superiore obiettivo.

(pubblicato in "Vivere In", numero speciale, 1 - 2, 2020, pagg. 7 ss.)

Eugenio SCAGLIUSI

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