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Gmg, il Papa confessa i giovani detenuti: “Ognuno di noi è molto più di un etichetta”

Il Pontefice confessa 12 ragazzi detenuti nel Centro de Cumplimiento de Menores Las Garzas de Pacora di Panama: "Lo sguardo di Dio non conosce etichette, siamo tutti figli"

“Ognuno di noi è molto di più delle sue ‘etichette’. Così Gesù ci insegna e ci chiama a credere. Il suo sguardo ci provoca a chiedere e cercare aiuto per percorrere le vie del superamento. A volte la mormorazione sembra vincere, ma non credeteci, non ascoltatela. Cercate e ascoltate le voci che spingono a guardare avanti e non quelle che vi tirano verso il basso”.Nel secondo giorno di Gmg, Papa Francesco lascia la città di Panama per recarci, in auto, al Centro de Cumplimiento de Menores Las Garzas de Pacora, un centro di reclusione per giovani detenuti. Ad attenderlo, insieme all’arcivescovo di Panama, mons. Ulloa, e alla direttrice del Centro, Emma Alba Tejada, 30 ragazzi. E’ la prima volta che un Pontefice confessa un gruppo di giovani detenuti nel corso di una Gmg.
Sorrisi e lacrime si alternando durante la Liturgia penitenziale celebrata dentro il carcere; un rito durante il quale il Santo Padre, dopo aver ascoltato la testimonianza di un detenuto, confessa e assolve 12 giovani.
Nell’omelia, il Pontefice, prendendo spunto dal capitolo 15 del Vangelo di Luca, quello delle “tre parabole della misericordia“, fa notare come scribi e farisei sono scandalizzati e infastiditi dal comportamento di Gesù che “accoglie i peccatori e mangia con loro”.
E mentre “quelli si limitavano solo a mormorare o sdegnarsi, bloccando e chiudendo così ogni possibile cambiamento, conversione e inclusione, Gesù si avvicina, si compromette, mette in gioco la sua reputazione e invita sempre a guardare un orizzonte capace di rinnovare la vita e la storia”.
Due sguardi ben diversi, sottolinea il Pontefice, che si contrappongono: “Uno sguardo sterile e infecondo – quello della mormorazione e del pettegolezzo – e un altro che chiama alla trasformazione e alla conversione: quello del Signore”.

Lo sguardo del pettegolezzo…

In tanti, spiega il Papa, “non sopportano e non amano questa scelta di Gesù, anzi, prima a mezza voce e alla fine gridando manifestano il loro disappunto cercando di screditare il suo comportamento e quello di tutti coloro che stanno con Lui. Non accettano e rifiutano questa scelta di stare vicino e di offrire nuove opportunità“.

E questo perché, spiega il Pontefice, “con la vita della gente sembra più facile dare titoli e etichette che congelano e stigmatizzano non solo il passato ma anche il presente e il futuro delle persone. Etichette che, in definitiva, non producono altro che divisione: di qua i buoni, di là i cattivi; di qua i giusti, di là i peccatori”.

Un atteggiamento, ammonisce il Santo Padre, che “inquina tutto perché alza un muro invisibile che fa pensare che emarginando, separando e isolando si risolveranno magicamente tutti i problemi”.

E quando una società o una comunità non fa altro che bisbigliare e mormorare, entra in un giro vizioso di divisioni, rimproveri e condanne; entra in un atteggiamento sociale di emarginazione, di esclusione e di opposizione. E normalmente il filo si spezza nel punto più sottile: quello dei più deboli e indifesi.

“Come fa male vedere una società che concentra le sue energie nel mormorare e nello sdegnarsi piuttosto che nell’impegnarsi, impegnarsi per creare e opportunità e trasformazione!”, aggiunge il Papa.
…e quello della conversione

Al contrario, “tutto il Vangelo è segnato dallo sguardo che nasce né più né meno che dal cuore di Dio. Il Signore vuole fare festa quando vede i suoi figli che ritornano a casa. Così ha testimoniato Gesù manifestando fino all’estremo l’amore misericordioso del Padre”.
Quello di Dio, fa notare il Papa, è “un amore che non ha tempo per mormorare, ma cerca di rompere il cerchio della critica inutile e indifferente, neutra e imparziale e si fa carico della complessità della vita e di ogni situazione; un amore che inaugura una dinamica capace di offrire strade e opportunità di integrazione e trasformazione, di guarigione e di perdono, strade di salvezza”.
In altre parole, Gesù, “mangiando con pubblicani e peccatori, rompe la logica che separa, esclude, isola e divide falsamente tra ‘buoni e cattivi’. E lo fa creando legami capaci di permettere nuovi processi; scommettendo e festeggiando ad ogni passo possibile”.

Così rompe anche con un’altra mormorazione non facile da scoprire e che “perfora i sogni” perché ripete come un sussurro continuo: non puoi farcela, non puoi farcela… È il mormorio interiore che emerge in chi, avendo pianto il proprio peccato, e consapevole del proprio errore, non crede di poter cambiare. È quando si è intimamente convinti che chi è nato “pubblicano” deve morire “pubblicano”; e questo non è vero.

“Amici, ognuno di noi è molto di più delle sue ‘etichette’. Così Gesù ci insegna e ci chiama a credere. Il suo sguardo ci provoca a chiedere e cercare aiuto per percorrere le vie del superamento“, sottolinea il Pontefice.
“A volte la mormorazione sembra vincere, ma non credeteci, non ascoltatela. Cercate e ascoltate le voci che spingono a guardare avanti e non quelle che vi tirano verso il basso“, prosegue Francesco.

C’è sempre speranza

Infine, il Pontefice invita i giovani detenuti a non perdere mai la speranza, quella speranza che “nasce dall’aver sperimentato qualche volta questo sguardo di Dio che ci dice: ‘tu fai parte della mia famiglia e non posso abbandonarti alle intemperie, non posso lasciarti per la strada, sono qui con te'”.

È aver sentito che in quei momenti in cui sembrava che tutto fosse finito qualcosa ti ha detto: no!, non è tutto finito, perché hai uno scopo grande che ti permette di comprendere che Dio Padre era ed è con tutti noi e ci dona persone con cui camminare e aiutarci a raggiungere nuove mete. E così Gesù trasforma la mormorazione in festa e ci dice: “Rallegratevi con me!”.

Anche se detenuti, “voi fate parte della famiglia, voi avete molto da condividere“, dice il Papa rivolgendosi direttamente ai ragazzi del carcere. “Aiutateci a sapere qual è il modo migliore per vivere e accompagnare il processo di trasformazione di cui, come famiglia, tutti abbiamo bisogno”, aggiunge.
Quindi critica la maggior parte dei sistemi carcerari del mondo, spronando la società ad mettere in atto modelli in cui anche chi sbaglia abbia la possibilità di inserirsi nuovamente nella comunità:

Una società si ammala quando non è capace di far festa per la trasformazione dei suoi figli; una comunità si ammala quando vive la mormorazione che schiaccia e condanna, senza sensibilità. Una società è feconda quando sa generare dinamiche capaci di includere e integrare, di farsi carico e lottare per creare opportunità e alternative che diano nuove possibilità ai suoi figli, quando si impegna a creare futuro con comunità, educazione e lavoro. E anche se può sperimentare l’impotenza di non sapere come, non si arrende e ritenta di nuovo. Tutti dobbiamo aiutarci per imparare, in comunità, a trovare queste strade.

Dio non ha etichette

Questo, aggiunge il Papa. “è un patto che dobbiamo avere il coraggio di fare: voi, ragazzi, i responsabili della vigilanza e le autorità del Centro e del Ministero, e le vostre famiglie, come pure gli operatori pastorali. Tutti, datevi e ridatevi da fare per cercare e trovare strade di inserimento e di trasformazione. Questo il Signore lo benedice, lo sostiene e lo accompagna”.
Nella confessione, conclude il Pontefice, “tutti potremo sperimentare lo sguardo del Signore, che non vede un’etichetta né una condanna, ma vede dei figli. Sguardo di Dio che smentisce le squalifiche e ci dà la forza di creare quei patti necessari per aiutarci tutti a smentire le mormorazioni, patti fraterni che permettono alla nostra vita di essere sempre un invito alla gioia e alla salvezza“.
Dopo la benedizione, il Pontefice, a braccio, sprona i giovani ad aprire la finestra e ascoltare l’orizzonte: “Si può cambiare!”.

Fabio Beretta

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