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Giovanni Paolo II, quando da giovane studente confessava la gente della Garbatella

 Una storia di pastorale vissuta


Lontano dai palazzi vaticani, dal centro della città di Roma, dalle splendide chiese barocche e rinascimentali, sorge la Garbatella, periferico quartiere romano, nato durante il Ventennio fascista e divenuto, ormai, famoso in tutta Italia per la serie televisiva “I Cesaroni”. In questo quartiere sorge in Piazza Damiano Sauli una chiesa che ha come santo titolare “San Francesco Saverio”, il missionario gesuita del ‘500. La chiesa, costruita su progetto di Alberto Calza Bini, fu eretta a parrocchia il 1 maggio 1933 da Pio XI con la costituzione apostolica "Quo omnes sacrorum".

Fu in questa chiesa che il giovanissimo sacerdote e studente Karol Wojtyla negli anni 1947-48 divenne un punto di riferimento per molti fedeli del luogo: fu proprio qui, infatti, che il sacerdote polacco cominciò la sua pratica di “confessore”. Ore e ore nel confessionale, alternate a quelle sulle pagine dei libri di teologia. Studio e missione pastorale, una pratica pastorale che tutt’oggi impegna molti giovani sacerdoti studenti. Karol Wojtyla fu accolto dall’allora parroco, don Diego Natale Bona, divenuto poi monsignore e vescovo emerito di Saluzzo nonché canonico onorario del Capitolo Lateranense, deceduto due anni fa.

Il giovane sacerdote Karol Wojtyla, era stato ordinato a Cracovia nel 1946, ogni domenica si recava in “San Francesco Saverio” per adempiere al servizio pastorale, amministrando il sacramento della confessione. Erano quelli gli anni di studio per la licenza in teologia presso la Pontificia Università “Angelicum”, l’università domenicana che ha sede al centro di Roma, vicino Piazza Venezia. Come ricordo tangibile di tale periodo, nella navata destra della chiesa di “San Francesco Saverio”, nel 2008 è stata posizionata anche una enorme statua in bronzo che ritrae il “confessore don Karol” con la stola sulle spalle nell’atto di dare l’assoluzione. Una sorta di fotogramma scultoreo di quel periodo. Nel basamento della scultura, realizzata in appena otto mesi dall’artista sloveno Mirko Bratuša, si legge bene un’epigrafe che dice: “Il giovane sacerdote Karol Wojtyla, studente a Roma, in questa chiesa parrocchiale negli anni 1947-48 fu solerte amministratore della misericordia di Dio”.

E non fu certo un caso che come nuovo Vescovo di Roma, Wojtyla scelse “San Francesco Saverio” come prima chiesa da visitare dopo la sua elezione al soglio pontificio. Era il 3 dicembre 1978, davvero pochi giorni dopo esser divenuto Papa: “È una grande gioia per me poter visitare come prima parrocchia romana proprio la vostra, a cui mi unisce un ricordo particolare. Infatti, negli anni dell’immediato dopoguerra, come studente a Roma, mi recavo quasi ogni domenica proprio alla Garbatella, per aiutare nel servizio pastorale. Alcuni momenti di quel periodo sono ancora vivi nella mia memoria, benché mi sembri che, nel corso di più di trent’anni, molte cose qui siano enormemente cambiate”.

E non era stato solo il quartiere a cambiare. Giovanni Paolo II visitava quei luoghi ben trent’anni dopo il suo cammino ministeriale. Trenta anni che lo avevano visto impegnato in diversi ruoli nella Chiesa: da semplice sacerdote a Primate della Polonia, fino a divenire partecipante attivo di uno dei momenti più importanti della Storia della Chiesa, il Concilio Vaticano II. Quel giorno, il 3 dicembre 1978, l’emozione del quartiere della Garbatella, l’emozione di Giovanni Paolo II fu più che evidente. I suoi occhi parlavano più delle parole. Quegli occhi che in “San Francesco Saverio” avevano scrutato centinaia di cuori.

Antonio TARALLO

FONTE: ACI STAMPA






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