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Giovani in fuga dalla Chiesa, serve un approccio più antropologico alle questioni religiose

Una ricerca promossa dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo indaga le ragioni del loro allontanamento.


Sono diversi i modi in cui i giovani si allontanano dalla Chiesa e trasformano l’esperienza della fede in spiritualità. Li hanno indagati Paola Bignardi e Rita Bichi, che l’anno scorso si sono occupate di una ricerca su questi e altri temi connessi alla “fuga” di ragazzi e ragazze. Lo studio, che si intitola Cerco dunque credo?, è stato promossa dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo di Milano e realizzato in collaborazione con la Facoltà teologica del Triveneto, che sul suo sito ha presentato in anteprima alcuni risultati.

Tra i giovani intervistati, la pratica religiosa è abbandonata in genere dopo la cresima, anche se per alcuni c’è stato in precedenza un impegno nelle parrocchie come educatori o capi scout, dunque con responsabilità educative e organizzative. Ma è qualche anno dopo, tra i 16 e i 17 anni, che la maggior parte di loro prende coscienza dell’abbandono dagli ambienti ecclesiali, facendone una scelta esplicita e consapevole. Sono state dunque identificate sei tipologie di allontanamento: evolutivo, in quanto ciò che si è imparato da bambini col catechismo viene ritenuto trascurabile diventando adulti; per disinteresse verso la dimensione trascendente; esistenziale, perché la religione non darebbe risposte soddisfacenti alle domande di senso della vita; critico, ovvero una presa di distanza verso l’insegnamento cristiano, soprattutto in ambito morale; maturativo a seguito di scelte, inquietudine, scetticismo; arrabbiato per delusione nei confronti della Chiesa.

Dopo l’abbandono, l’esperienza di fede diventa spiritualità, intesa, ad esempio, come ricerca di sé stessi, occasione per farsi delle domande, spazio per ascoltare l’ignoto o per l’introspezione. In generale, queste trasformazioni portano a un credere in modo solitario, intimo, sostanzialmente personale e a tratti individualistico. La risposta di un intervistato è significativa: «Non mi ritengo ateo, non mi ritengo una persona che non crede più in Dio, che non ha un lato spirituale; semplicemente non penso che quello sia il mio modo di pregare, di essere parte, di dimostrare il mio lato spirituale, perché è una cosa che io vivo più come una cosa individuale, più come una cosa relativa a me e non a un gruppo di persone. Alla fine, mi ritrovavo sempre a ripetere le solite preghiere un po’ a pappagallo perché tutti lo dicevano e a non crederci davvero».

Questa esperienza spirituale si discosta dunque dalla religione istituzionale, che viene vista come un filtro che non permette di sperimentare il legame con Dio in quanto tutto è troppo rigido e già precostituito. In linea con l’indagine del 2013 Dio a modo mio, ciò dimostra che nel mondo giovanile è in atto un mutamento antropologico molto profondo. Le questioni religiose vanno quindi approcciate in maniera diversa dall’impostazione basata sullo schema interpretativo chiesa-mondo, prediligendo il rapporto diretto tra Vangelo e uomo. Se non ci sarà questo cambiamento, la rottura tra giovani e Chiesa si farà sempre più netta e definitiva.

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