Un incontro, la presentazione di un libro (Mimmo Muolo, Don Ernest Simoni, dai lavori forzati all’incontro con Francesco, Edizioni Paoline, 2016) . Un libro che racconta una storia: quella di don Ernest Simoni, sacerdote albanese perseguitato per trent’anni dal regime comunista albanese. Don Ernest trascorre quei trent’anni tra prigionia, lavori forzati, sofferenze indicibili, colpevole di essere un sacerdote che non rinnega la sua fede.
Insieme a questa, il libro raccolta tante altre storie: quelle dei tanti perseguitati per fede, in ogni parte del mondo, in ogni tempo.
La storia va compresa ed attualizzata. I libri servono soprattutto ad andar oltre le storie che raccontano. Il percorso è complesso, lungo, faticoso.
Da quel libro emerge prima di tutto il valore della testimonianza, l’importanza del ruolo di chi, in maniera umile e silenziosa, a volte con una presenza scomoda, rimane coerente ai propri ideali, alle proprie scelte di vita, alla propria fede.
A volte comprendo le critiche che vengono mosse ai credenti da parte di chi, invece, non crede. Molto spesso noi credenti non offriamo grandi esempi di coerenza, non sembriamo propriamente testimoni di ciò in cui professiamo di credere.
Spesso la lettura di un libro rimanda ad altre. Non molto tempo fa ho riletto alcune parti di un libro. Una di queste parti riguarda il valore della testimonianza e di quanto il mondo ne abbia bisogno, una parte che qui merita il copia-incolla: “Questa epoca è avida di Dio; e lo va cercando sotto i nomi e i miti più diversi, e vorrebbe trovarlo nella sua esperienza più diretta. E qui proprio bisogna farglielo trovare; e questo proprio è il compito del cristiano. Farglielo trovare testimoniato, nella esperienza quotidiana, da testimoni visibili, che con la loro vita, lo mostrino, lo facciano vedere presente, operante, amante, amato, come la presenza più presente e più reale, più salvatrice, la sola salvatrice, nella trama delle azioni o delle vite da salvare, cioà da amare in Dio. Ora come ora, c’è urgenza massima, nella nostra storia, di questi testimoni; ce ne sono, grazie a Dio, non pochi, nascosti e ignoti, ma ce ne dovrebbero esser molto di più.”
Si può anche non essere credenti. Ma l’errore dei non credenti, il più grave che commette anche l’ateo più disincantato, è quello di non capire che “...è impossibile strappare Dio dal cuore dell’uomo a colpi di ideologia...” (Don Ernest Simoni, cit. pag. 122).
Il rischio dell’incoerenza e dell’incapacità della testimonianza quotidiana sono sempre in agguato; soprattutto quando vengono colte dai più giovani. È allora che spiegare tutto questo diventa ancora più complicato; ancor più se si deve farlo senza usare la parola “dio”, che spesso sembra disturbare.
Forse è proprio fede la parola più grossa, più difficile, più complicata. Potremmo provare, allora, a tradurla: volere a tal punto una cosa da ritenerla possibile, sperando. In fondo, sperare è proprio della vita di tutti: un’anelito non sempre comprensibile che sarebbe valido sempre, per chiunque, anche se non esistesse nessun dio.
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