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Il nuovo ordine proposto dalla "Fratelli tutti".

Molto più che un pur ricco approfondimento monotematico, Papa Francesco con la sua enciclica Fratelli tutti ci consegna un testo completo, quasi a voler conferire sistemazione organica a tutto il suo pensiero, consegnandolo ad un contesto di riflessione ampio e sistematico. Dalla dimensione della “fraternità”, termine tipico del suo magistero, al riconoscimento della “fratellanza”; dalla “sostenibilità umana” e dalla “amicizia sociale”, elementi di superamento del “paradigma tecnocratico” e dei rischi della società digitale, alla “buona politica”, per fuggire parimente i rischi di populismi e neo liberismi. Al fondo, la proposta e l’auspicio di una nuova dimensione della umanità, individuandone le peculiarità nella centralità della persona umana, nella solidarietà, nella sussidiarietà, nella generale ricerca del bene comune, peculiarità tutte derivanti da ciò che Francesco stesso riconosce essere da sempre le sue “preoccupazioni” (par. 5): le “questioni legate alla fraternità e all’amicizia sociale”.



La proposta non poteva non fare riferimento alla pandemia in corso, per la quale urge il recupero dell’appartenenza comunitaria e della solidarietà per evitare che il facile e comodo “si salvi chi può” si traduca rapidamente nel “tutti contro tutti”, con conseguenze peggiori della stessa pandemia (par. 36). Perché, si legge, “malgrado si sia iper-connessi si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti”, ammonendo come non possa essere sufficiente “far funzionare meglio quello che già facevamo” (par. 7).

Quello di cui Francesco afferma l’esigenza è un nuovo stile di vita, un nuovo modello esistenziale nel quale l’incontro si fa cultura e la vita diventa “arte dell’incontro”. Perché la vita è come un poliedro dalle molte facce, dai moltissimi lati: tutti ne compongono un’unità ricca di sfumature, dove il tutto è superiore alla parte. Così, il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda, benché ciò comporti discussioni e diffidenze (par. 215 – 216).

Nell’affrontare questi temi, Francesco individua in quello evangelico del Buon Samaritano, di cui Cristo è prima e massima espressione, il modello ispiratore di vita, portatore di un amore che si apre a tutti (par. 82), facendone oggetto centrale della sua riflessione (par. 56 – 165), fuggendo la tentazione che la parola “prossimo” perda di significato ed in sua vece acquisti senso la parola “socio”, cioè associato per interessi (par. 102). Il farsi prossimo, il “diventare io un prossimo degli altri”, è la dimensione cui tendere (par. 81). In un mondo interconnesso e globale quale l’attuale, si vive, si lavora, si opera e ci si salva insieme. Tutti sulla stessa barca, come l’emergenza pandemica ha rammentato, con la consapevolezza che dinanzi a problemi globali occorrono soluzioni globali. Soluzioni che è possibile individuare superando prima di tutto l’ostacolo del “virus dell’individualismo radicale”, che, ingannevole, “ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alla proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune” (par. 105).

La ricerca del “bene comune”, scopo della più autentica e nobile politica, di cui si indicano le linee guida per un ripensamento generale e che dapprima emerge quasi come preoccupazione sottesa, esplode nel capitolo non a caso intitolato La migliore politica (cap. V, par. 154 – 197), quasi a dimostrazione della centralità della sua funzione nella quotidianità. Le tante contraddizioni del tempo presente, tra populismi sovranisti, nazionalismi esasperati, neoliberisti disumanizzanti, emergenze migratorie, tensioni sociali, conflitti e guerre, queste ultime che mai possono dirsi “giuste”, come negli ultimi decenni si è provato a giustificare (par. 258); finanche errori comunicativi dell’era digitale che espongono al “rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta”, quando – invece – avremmo bisogno “di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana” (par. 43). Insomma, avremmo bisogno di “dialogo”, spesso confuso con un “febbrile scambio di opinioni nelle reti sociali”, veri e propri monologhi “non di rado opportunistici e contraddittori (par. 200), rappresentativi di uno stile che sembra prevalere anche nel contesto politico, che ha un riflesso diretto nella più comune vita quotidiana della gente (par. 201). Ebbene, tutte queste contraddizioni si vincono attraverso la mai superata e sempre universale regola d’oro: quella dell’amore. Attraverso “l’amore sociale”, forza capace di suscitare nuove vie per affrontare le tante problematiche, si può progredire verso una “civiltà dell’amore alla quale tutti possiamo sentirci chiamati” (par. 183). Ed è confortante leggere che Francesco individua in quello dell’amore sociale l’elemento per rinnovare profondamente dall’interno strutture, organizzazioni sociali e finanche “ordinamenti giuridici”. Confortante per chi, come chi scrive in questo momento, ha in corso una importante riflessione, quasi pericolosa ed al limite della legittimità rispetto all’attuale ordinamento di diritto, che vede nel “lògos – amore” l’ingrediente necessario del vivere sociale, dell’agire democratico e, dunque, la fonte primaria ispiratrice di un nuovo “diritto”, che è lo strumento pratico che conferisce unitarietà alla vita ed alla politica.

Francesco indica quali elementi su cui costruire la società la promozione del bene sociale (par. 112 – 113) ed il valore della solidarietà (par. 114 – 117), fondamentali per la costruzione della “migliore politica”, cioè quella in grado di “ampie visioni” e di un “approccio integrale” che includa in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti, capace di “riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche” (par. 177), facendosi carico ed avendo cura della “fragilità dei popoli e delle persone”, superando la “cultura dello scarto” (par. 188).

Rispetto alla politica tesa al soddisfacimento dell’interesse immediato, Francesco precisa, invece, che “la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine”, perché – riferendosi alla lettera pastorale della conferenza episcopale portoghese, già citata nella sua Laudato sì – “la terra è un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva” (par. 178).

Alla costruzione della “migliore politica” offre il proprio contributo attivo (al pari di ogni religione) anche la Chiesa, che “non può e non deve restare ai margini della costruzione di un mondo migliore”. Tanto che, se è pur vero “che i ministri religiosi non devono fare politica partitica, propria dei laici”, tuttavia “nemmeno possono rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza che implica una costante attenzione al bene comune e la preoccupazione per lo sviluppo umano integrale” (par. 276).

Perché la proposta non appaia eccessivamente utopistica, Francesco l’accompagna con raccomandazioni che, lungi dal costituire modelli teorici complessi, appartengono a condizioni di vita quotidiana che ci sembrano ormai superati e quasi anacronistici. Come nel caso della pratica della “gentilezza”, richiamata con il termine paolino di chrestòtes (Gal. 5, 22, indica la “benevolenza” tra i doni dello Spirito). Il termine greco χρηστότης, che in Paolo assume anche il significato di “atteggiamento misericordioso” di Dio nei nostri confronti, Rom., 11, 22) fa riferimento alle qualità personali caratteriali della onestà, bontà d’animo, gentilezza, mitezza, così esprimendo “uno stato d’animo non aspro, rude, duro, ma benigno, soave, che sostiene e conforta”, “un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri” (par. 223). Con la paterna esortazione a recuperare tre parole magiche: permesso, scusa, grazie (par. 224).

Francesco opera un tentativo coraggioso, ampiamente giustificato in relazione al suo ruolo, funzione e compito, tentativo costituito dall’offrire una visione del mondo globale dove ogni muro o barriera, ogni tipo di divisione possibile, vengono superati nel nome della fratellanza universale, proposta come nuovo paradigma evolutivo. Disegna una civiltà di eguali, nel cui ambito tutti sono cittadini con uguali diritti e doveri e, dunque, tutti godono della medesima giustizia. Tutti apparentemente diversi, ma con comune attitudine a lavorare per il bene comune nel nome di una fratellanza senza confini. Una fratellanza che sa valorizzare non solo gli esseri umani, andando oltre ogni distanza o diversità, oltre ogni spazio geografico, ma anche l’intero mondo, la natura, “il sole, il mare, il vento”, proprio come seppe fare il Santo di cui il pontefice ha scelto il nome (par. 1 – 3).

Nella realizzazione del suo tentativo, Francesco chiede aiuto alle religioni, a tutte le religioni, cui riconosce un ruolo fondamentale al servizio della fraternità (cap. VIII, par. 271 – 285). In fondo il tentativo è coraggioso proprio nella parte in cui accomuna nel raggiungimento dello scopo tutto e tutti, senza distinzione alcuna, quasi trascurando come esistano importanti diversità, formali e sostanziali, culturali e spirituali, che Francesco prova a superare con il carisma conferitogli dal ruolo.

Con il suo magistero, specificamente con questa enciclica, che costituisce un vero e proprio “manuale del Bergoglio pensiero”, ci sembra che Francesco, con la sua acquisita autorevolezza mondiale, proponga la Chiesa al ruolo di mediatore universale, costruttore di un ponte in grado di unire ed abbracciare tutti, indistintamente, nel nome della identità cristiana che si fonda sul Dio – amore e che trova nel Vangelo la sua fonte primaria (par. 277, 85) rispetto alla pur valida tradizione vetero testamentaria (par. 57 – 62). Questa peculiarità consente di superare la semplicistica tentazione del giudizio di laicità dell’enciclica (per quanto positivamente intesa nel senso di “aperta a tutti”, anche a non credenti e vieppiù non cristiani), invero banale perché l’amore che lì si predica non è certo un valore indeterminato e liberamente declinabile, quanto quello tipico dell’amore di Dio (par. 4), creatore di uguaglianza (par. 5), creatore a sua immagine e somiglianza (par. 24), amore reso possibile attraverso la sua grazia (par. 93) e vivamente testimoniato dal Cristo.

La proposta, nella sua complessità, è ammirevole e certamente coerente con la missione evangelizzatrice della Chiesa, che – a volte giova rammentarlo – ha anche la cattolicità e l’apostolicità tra i suoi attributi.

Le argomentazioni su cui si fonda la proposta meritano ampi spazi di studio ed approfondimento che le indubbie novità reclamano. Ed è quanto competerà a ciascun fedele nell’immediato prossimo futuro.

Eugenio SCAGLIUSI


(pubblicato nella rivista bimestrale "Vivere In", 5/2020, pagg. 10 - 13)

https://www.vivere.in/2020/11/rivista-vivere-in-n-52020/

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