Nell’omelia della Messa per il Giubileo dei catechisti, Leone XIV richiama davanti a 50mila fedeli la necessità di annunciare che, anche in mezzo alle tragedie di chi muore “davanti all’ingordigia”, il Vangelo proclama come “la vita di tutti può cambiare”. Non basta conoscerla o condividerla: va amata. Solo così la testimonianza diventa seme di speranza, capace di germogliare nei cuori e portare frutto
L’opulenza, piaga che annulla il singolo “perché perde sé stesso, dimenticandosi del prossimo”. Quel prossimo che muore “davanti all’ingordigia”, oggi allargato a “interi popoli” piegati da guerre e sfruttamenti. Ma l’annuncio del Vangelo porta un messaggio necessario: vita nuova. Un'esistenza che va anzitutto “amata”, poi conosciuta e annunciata. È questo il compito dei catechisti: non solo istruire, ma seminare, “far risuonare nei cuori la speranza, affinché porti frutti di vita buona”. Luci e ombre del mondo sono al centro dell’omelia di Papa Leone XIV questa mattina, 28 settembre, davanti a 50mila fedeli partecipanti alla Messa presieduta in piazza san Pietro per il Giubileo dei catechisti, nel corso della quale ne istituisce 39, provenienti da quindici Paesi.
I beni non rendono buoni
Il Pontefice prende spunto dal brano evangelico di Lazzaro e del ricco “senza nome”, che mostra “come Dio guarda il mondo, in ogni tempo e in ogni luogo”. Da una parte “chi muore di fame”, dall’altra “chi si ingozza davanti a lui”; da una parte “le vesti eleganti”, dall’altra “le piaghe leccate dai cani”.
Ma non solo: il Signore guarda il cuore degli uomini e, attraverso i suoi occhi, noi riconosciamo un indigente e un indifferente. Lazzaro viene dimenticato da chi gli sta di fronte, appena oltre la porta di casa, eppure Dio gli è vicino e ricorda il suo nome. L’uomo che vive nell’abbondanza, invece, è senza nome, perché perde sé stesso, dimenticandosi del prossimo. È disperso nei pensieri del suo cuore, pieno di cose e vuoto d’amore. I suoi beni non lo rendono buono
Quante morti davanti all'ingordigia
Un racconto, quello di Gesù, tristemente attuale.
Alle porte dell’opulenza sta oggi la miseria di interi popoli, piagati dalla guerra e dallo sfruttamento
I secoli passano, e nulla cambia.
Quanti Lazzaro muoiono davanti all’ingordigia che scorda la giustizia, al profitto che calpesta la carità, alla ricchezza cieca davanti al dolore dei miseri
Donare sé stessi, per il bene di tutti
Eppure il Vangelo consegna un lieto fine: terminano i dolori di Lazzaro e “i bagordi del ricco”, davanti alla giustizia di Dio. Dal brano alla liturgia: la celebrazione è occasione per riflettere sul ministero dei catechisti. Il Pontefice richiama le parole di Papa Francesco pronunciate durante il Giubileo degli educatori nell’Anno Santo della Misericordia: “Dio redime il mondo da ogni male, dando la sua vita per la nostra salvezza”. Da qui inizia la missione di ciascuno, “chiamato a donare sé stesso per il bene di tutti”.
Questo centro attorno al quale tutto ruota, questo cuore pulsante che dà vita a tutto è l’annuncio pasquale, il primo annuncio: il Signore Gesù è risorto, il Signore Gesù ti ama, per te ha dato la sua vita; risorto e vivo, ti sta accanto e ti attende ogni giorno
Destare le coscienze
Queste parole fanno risuonare il dialogo tra il ricco e Abramo:
Se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno
Ma la risposta è chiara:
Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti
Non scoraggiamento, ma invito a destare le coscienze.
Il Vangelo ci annuncia che la vita di tutti può cambiare, perché Cristo è risorto dai morti. Questo evento è la verità che ci salva: perciò va conosciuta e annunciata, ma non basta. Va amata: è quest’amore che ci porta a comprendere il Vangelo, perché ci trasforma aprendo il cuore alla parola di Dio e al volto del prossimo.
Il catechista, "persona di parola"
Il Papa ricorda l’origine etimologica del termine catechista, da katēchein, “istruire a viva voce, far risuonare”.
Ciò vuol dire che il catechista è persona di parola, una parola che pronuncia con la propria vita
Il primo catechismo, "attorno alla tavola"
Il primo annuncio avviene in famiglia, “attorno alla tavola”, dove un gesto quotidiano diventa Vangelo. La fede è passaggio di testimone che arriva da chi “ha creduto prima di noi” e cresce in tutta la Chiesa attraverso contemplazione, studio, esperienza spirituale e la predicazione dei pastori.
In-segnare
In questo cammino, il Catechismo diventa “strumento di viaggio”: ripara da individualismi e discordie, e rende ogni fedele collaboratore della missione della Chiesa. I catechisti, dal canto loro, “in-segnano”, cioè lasciano un segno interiore.
Quando educhiamo alla fede, non diamo un ammaestramento, ma poniamo nel cuore la parola di vita, affinché porti frutti di vita buona
Le ricchezze mondane tolgono speranza
Sant’Agostino, ricorda Leone XIV, esortava il diacono Deogratias a esporre ogni cosa “in modo che chi ascolta, ascoltando creda; credendo speri; e sperando ami”. Nessuno, quindi, può dare ciò che non ha:
Se il ricco del Vangelo avesse avuto carità per Lazzaro, avrebbe fatto del bene, oltre che al povero, anche a sé stesso. Se quell’uomo senza nome avesse avuto fede, Dio lo avrebbe salvato da ogni tormento: è stato l’attaccamento alle ricchezze mondane a togliergli la speranza del bene vero ed eterno
Nella tentazione dell’ingordigia e dell’indifferenza, i “Lazzaro” di oggi diventano catechesi vivente, segno che richiama alla conversione e alla pace, soprattutto in questo Giubileo.
I riti della celebrazione
Prima dell’omelia, ogni candidato al ministero di catechista è stato chiamato per nome e ha risposto: “Eccomi”. Dei 39 totali, 5 erano provenienti dal Messico (il Paese più rappresentato), e 4 dal Mozambico, oltre a 3 dall'Italia. Dopo la predicazione, il Papa si è rivolto a ciascun educatore, ricordando che il compito di ciascuno sarà quello di avvicinare alla Chiesa anche chi ne vive lontano: un invito a essere pronti “a rendere ragione della speranza che è in voi”.
Infine, i candidati si sono inginocchiati davanti al Pontefice, che li ha benedetti pregando perché “vivano in pienezza il loro Battesimo, collaborando con i pastori nelle diverse forme di apostolato”. Poi ciascuno si è accostato a lui ricevendo la croce, “segno della nostra fede, cattedra della verità e della carità di Cristo: annunciate il Signore con la vita, con le azioni e con la parola”.
Qualche minuto dopo il termine della celebrazione, intorno a mezzogiorno Leone XIV con un lungo giro in papamobile ha attraversato i vari reparti e salutato i fedeli, fermandosi più volte a benedire i bambini che gli venivano accostati. Ha infine lasciato piazza San Pietro varcando l'Arco delle Campane.
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
FONTE: VATICAN NEWS
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