Sabato scorso sulla pagina Facebook dell’Associazione Giovanni Paolo II di Polignanoa Mare è stato trasmesso in diretta streaming l’incontro dal titolo “Ricordando via Fani… E non solo”. Si è trattato di un appuntamento dedicato alla figura di Aldo Moro e dei suoi agenti di scorta (i carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci e Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino della Polizia): tutti servitori dello Stato uccisi in via Fani in quel sanguinoso agguato del 16 marzo 1978.
L’incontro, introdotto dal presidente dell’Associazione Giovanni Paolo II Giuseppe Nardulli, ha visto gli interventi dell’avvocato e direttore responsabile del periodico VivereIn Eugenio Scagliusi e del criminologo Giovanni Ricci, figlio dell’appuntato dei carabinieri insignito di medaglia d’oro al valor civile alla memoria, membro della scorta di Moro ed ucciso in Via Fani. A moderare l’evento il giornalista Nicola Teofilo.
L’incontro, dunque, si è aperto proprio con il giornalista Nicola Teofilo che ha citato una frase di Gianni Rodari “Nel paese della bugia, la verità è una malattia” per poi chiedere al dott. Ricci: “Che effetto le ha fatto scoprire che le verità sul caso Moro erano in realtà delle non verità?”
«Ci si sofferma sempre a pensare che ci siano delle mancate verità brigatiste, io questo non lo nego ma ci sono anche delle mancate verità – ha detto il criminologo – Al momento non esiste una verità giudiziaria ma almeno mi piacerebbe che ci fosse una verità storica… Il mio dovere è quello di essere un testimone della memoria. Attualmente i ragazzi a scuola studiano la storia contemporanea fino all’ epoca della resistenza, gli anni ’60, ’70, ’80 e ’90 che sono fondamentali per comprendere la storia contemporanea non vengono studiati ed è fondamentale che loro conoscano anche questi periodi della nostra storia».
C’è stato poi l’intervento dell’avvocato Eugenio Scagliusi che ha sottolineato l’importanza di continuare ad indagare per scoprire tutte le verità, ma di tener conto del fatto certo, importante, che tutti conosciamo e cioè che quel giorno in Via Fani c’erano quattro persone, i brigatisti, che hanno ammazzato altre cinque persone, gli uomini della scorta di Moro, dei ragazzi che stavano facendo il loro lavoro ed erano dei servitori dello Stato. Nel corso del dibattito l’avvocato Scagliusi ha poi sottolineato l’importanza di ricordare Moro non solo per quei terribili fatti di Via Fani ma anche e soprattutto per l’uomo che era, per il suo pensiero filosofico e giuridico, in continuo e costante contatto con i suoi studenti e che ha sempre cercato, con tutti, un confronto costruttivo. «Il pensiero di Moro è un importante bagaglio culturale e se noi non spieghiamo ai nostri figli il senso del pensiero, il senso dello stato di Moro non abbiamo fatto il nostro dovere» ha aggiunto Scagliusi.
A proposito del rapporto di Moro con i suoi studenti il dott. Ricci ha raccontato un piccolo aneddoto: pare che chiedesse a tutti i suoi studenti il loro indirizzo in modo da poter mandar loro lettere e biglietti di auguri per Natale.
Nicola Teofilo ha poi chiesto a Giovanni Ricci di ricordare suo padre, Domenico Ricci come uomo, oltre la divisa. «Mio padre si è arruolato ancora minorenne, perché all’epoca la maggiore età la si raggiungeva a 21 anni, era un contadino, un mezzadro che si svegliava alle 4.00 ogni mattina che si è fatto carico della sua famiglia quando suo padre e suo fratello sono venuti a mancare – ha detto il criminologo – Io aspetto ancora per tutti, sono 43 anni che aspetto di poter dare una risposta definitiva».
Un altro punto importante del dibattito è arrivato quando Nicola Teofilo ha chiesto al dott. Ricci se, in questi anni, le famiglie delle vittime si siano sentite abbandonate dallo Stato. Ricci ha risposto che negli anni l’Arma dei Carabinieri è stata loro molto vicina ma che purtroppo la legge sul terrorismo per la tutela delle famiglie delle vittime del terrorismo è arrivata solo nel 2004, a distanza di troppi anni. In ogni caso si è detto felice di sapere che il lavoro fatto da tutte le famiglie delle vittime del terrorismo è servito a questo, ad arrivare ad una legge che adesso davvero tutela le famiglie, che hanno dei diritti riconosciuti dallo Stato. Ha anche citato il caso del nostro ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere della sua scorta Vittorio Iacovacci, uccisi dai terroristi in Congo. Affermando che, nonostante l’immenso dolore, le loro famiglie grazie a quella legge 2004 potranno sentire lo Stato un po’ più vicino, sottolineando poi anche l’importante gesto di riconoscere la cittadinanza italiana a Zakia Seddiki, moglie dell’ambasciatore Attanasio.
Altro lavoro importante, ha detto Ricci, è stato fatto dall’ on. Gero Grassi, nostro conterraneo, che si è speso moltissimo per la ricerca della verità è grazie al quale i fatti di via Fani sono stati ufficialmente riconosciuti come “strage di Via Fani” in quanto prima erano semplicemente chiamati “omicidio di Aldo Moro e della sua scorta”. Ricci però si è detto amareggiato leggendo che gli atti del caso Moro sono stati secretati fino al 2029: questa è un’ ulteriore attesa per le famiglie che aspettano di sapere la verità da oltre quarant’ anni.
L’incontro si è chiuso con Nicola Teofilo che ha citato le parole di Moro “La persona prima di tutto” ed ha poi detto: «questa è una dichiarazione che Moro fece nel 1943 mentre sui muri c’era scritto “Vietato pensare” e mentre Gramsci e Pertini erano rinchiusi del carcere di Turi, questo ci fa capire la grandezza e il coraggio di Aldo Moro».
Enrica Benedetti
FONTE: Radio Incontro
Commenti
Posta un commento