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Il Papa, dall’Iraq ferito dal terrorismo appello alle religioni: “Se saremo tutti contro tutti, sarà peggio della pandemia”

Il 6 marzo, secondo giorno della visita di Papa Francesco in Iran. In mattinata il Papa ha incontrato il Grande Ayatollah sciita musulmano, aprendo una nuova porta al dialogo con il mondo islamico. Nella pianura di Ur, il Papa e i leader religiosi hanno partecipato alle attività: "Estremismo e violenza sono tradimenti della fede"


«Nessuno si salva da solo» in questa «tempesta» globale della pandemia. Non ci salverà l’isolamento, non ci salverà la corsa agli armamenti, né il consumismo o l’idolatria del denaro che provoca «voragini di disuguaglianza». E se non saremo uniti, sarà «peggio della pandemia». 

La voce di Papa Francesco è leggera, il tono pacato, ma il suo messaggio è potente e risuona lungo lo spazio sconfinato della Piana di Ur, dove la Bibbia racconta che Abramo, padre delle tre religioni monoteiste, ricevette la chiamata da Dio per lasciare il Paese ed intraprendere il cammino verso la salvezza. Francesco, alla seconda giornata del viaggio in Iraq, arriva in questo luogo di storia e memoria dopo aver vissuto in mattinata il momento più alto dell’intero viaggio in Iraq: la visita privata al grande ayatollah Ali-Al Sistani, il massimo esponente dei musulmani sciiti, parte dell’islam con la quale non era ancora stato avviato quel processo di dialogo stabilizzato invece con i sunniti e cristallizzato nel “Documento sulla Fratellanza umana” firmato ad Abu Dhabi.Con la visita di oggi, all’interno della dimora di Al-Sistani a pochi metri dal Santuario dell’Imam Alì che con i suoi minareti alti 40 metri e la sua cupola di mattoni d’oro è considerato luogo santo secondo solo dopo a La Mecca, si apre un nuovo canale comunicativo che ridisegna i rapporti tra musulmani e cristiani e anche all’interno dello stesso islam mondiale. Il Pontefice è rimasto per cinquanta minuti insieme al 90enne ayatollah, considerato uomo di grande spiritualità e di pace, difensore dell’autonomia degli sciiti e scettico nei confronti dell’Iran. Con Jorge Mario Bergoglio condivide la scelta dell’astensione dall’interventismo in politica; tuttavia negli scorsi anni è intervenuto a gran voce per difendere le minoranze irachene perseguitate e oppresse dai miliziani jihadisti, come i yazidi a Sinjar, i cristiani a Mosul e i turcomanni a Tal Afar, affermando la sacralità della vita e l’importanza di mantenere unito il popolo.
Al suo arrivo, Francesco è stato salutato con il volo di alcune colombe bianche. Sulla porta c’era ad accoglierlo il figlio del grande ayatollah, Mohammed Rida, che lo ha accompagnato nella sala di ricevimento dove, alla presenza di interpreti e sorseggiando un thé, ha avuto luogo il colloquio privato. La pace è stato il tema centrale, in particolare «l’importanza della collaborazione e dell’amicizia fra le comunità religiose perché, coltivando il rispetto reciproco e il dialogo, si possa contribuire al bene dell’Iraq, della regione e dell’intera umanità».
«Dialogo», «rispetto», «amicizia», sono anche le parole pronunciate a più riprese da Papa Francesco a Ur su un palco bianco, allestito di fronte ad antiche rovine risalenti ad oltre seimila anni fa, dichiarate patrimonio dell’Unesco e restaurate per la famosa visita programmata da Giovanni Paolo II nel 1999 e poi saltata per la contrarietà dell’allora presidente Saddam Hussein.
Si intonano canti in arabo alternati al ronzio di un drone e si leggono brani della Bibbia e del Corano. Intanto, sullo sfondo si staglia il profilo dello ziggurat di Ur-Nammu. Il vento è fortissimo e allevia dalla calura di quasi 8 gradi, trasportando fino al palco polvere e sabbia che rimangono attaccate ai vestiti e sugli schermi degli smartphone. Le continue folate di vento giocano scherzi alle vesti del Papa che, tuttavia, rimane composto nel suo ruolo: leader dei cattolici di tutto il mondo, consapevole che in questo importante frammento del viaggio iracheno, condiviso con i rappresentanti delle diverse religioni, si gioca buona parte del futuro dell’umanità.
«Abbiamo bisogno gli uni degli altri», ripete il Papa. «La pandemia ci ha fatto comprendere che “nessuno si salva da solo”. Eppure ritorna sempre la tentazione di prendere le distanze dagli altri. Ma “il ‘si salvi chi può’ si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia». Nelle tempeste che stiamo attraversando non ci salverà l’isolamento, non ci salveranno la corsa a rafforzare gli armamenti e ad erigere muri, che anzi ci renderanno sempre più distanti e arrabbiati. Non ci salverà l’idolatria del denaro, che rinchiude in sé stessi e provoca voragini di disuguaglianza in cui l’umanità sprofonda. Non ci salverà il consumismo, che anestetizza la mente e paralizza il cuore».
Ci salverà la fratellanza, quella che il terrorismo jihadista ha cercato di distruggere. Durissime le parole del Papa: «Dio è misericordioso e l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione».
Il Pontefice rammenta poi «le nubi oscure del terrorismo, della guerra e della violenza» addensate su questo Paese, che ha piagato le comunità etniche e religiose. Chiede preghiere per quanti hanno sofferto violenze e torture e per quanti sono dispersi e sequestrati, perché «possano tornare presto nelle loro case». Da qui l’appello finale: «Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità e promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni. La pace non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità». Unità che il Papa invoca non solo per l’Iraq ma per tutto il Medio Oriente, in particolare per la vicina Siria martoriata.
Tutti i partecipanti, alla fine, hanno recitato una preghiera comune. «Questo viaggio è importante per il dialogo interreligioso», ha commentato dopo l’evento il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. «La giornata di oggi ci ricorda che siamo tutti fratelli».


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