Misericordia è parola cara a Papa Francesco, che in Romania chiede di mettere da parte le divisioni per tendere a costruire l’unità. Il grido – “unitate” – che venti anni fa Giovanni Paolo II e il patriarca ortodosso Teoctist ascoltarono, torna, oggi, nelle parole di Francesco che può visitare la Transilvania: “pellegrinare significa sentirsi chiamati e spinti a camminare insieme, chiedendo al Signore la grazia di trasformare vecchi e attuali rancori e diffidenze in nuove opportunità per la comunione”; pellegrinare significa “non aver timore di mescolarsi, di incontrarci e aiutarci”; significa ancora far “prevalere la fraternità e il dialogo sulle divisioni”
Messaggio all’Europa il viaggio di Papa Francesco in Romania, a venti anni dalla visita compiuta da san Giovanni Paolo II e a trenta anni dalla fine dei regimi dell’Est. Il prossimo 9 novembre ricorderemo la caduta del muro di Berlino, che per quasi trenta anni ha tagliato in due il vecchio continente: “dolorosa divisione” la definì nel giugno 1996 a Berlino Papa Wojtyla. Una porta murata, disse, per paura della libertà. Proprio questo termine, libertà, è una delle parole simbolo del viaggio, appena concluso, di Papa Francesco. Libertà che si coniuga con la volontà di dialogo, con la capacità di accogliere l’altro, diverso per cultura e religione; ma proprio nei suoi mille volti è la ricchezza di un popolo. Di qui l’invito, anzi la preghiera, che formula parlando ai giornalisti nell’aereo che lo riporta in Vaticano: “Ai credenti dico: pregate per l’Europa. Ai non credenti chiedo l’augurio del cuore, la buona volontà, il desiderio che l’Europa torni a essere il sogno dei padri fondatori”; i quali “desideravano un futuro basato sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la pace e la comunione fra tutti i popoli del continente”, come disse nel suo discorso al Parlamento di Strasburgo, il 25 novembre 2014. Ogni paese “ha una propria identità e deve custodirla”, ma il continente non deve lasciarsi “vincere da pessimismo e dalle ideologie” dei gruppetti; no a nuove frontiere, no all’Europa divisa: “impariamo dalla storia, non torniamo indietro”.
Le radici sono importanti, dice ai giovani incontrati a Iasi, perché “non siamo esseri anonimi, astratti, esseri senza volto, senza storia, senza identità”.
Le radici sono la memoria di un popolo, e la trama di un amore che unisce gli uni agli altri: quando le persone “non ameranno più, sarà davvero la fine del mondo, perché senza amore e senza Dio nessun uomo può vivere sulla terra”. È proprio Dio a dire che “il peggio viene quando non ci saranno sentieri dal vicino al vicino, quando vediamo più trincee che strade”.
In questa Europa dove nuovi muri sorgono per separare popoli, alimentati da voci che seminano paura e divisione, trenta anni dopo la fine dei regimi, Francesco chiede che cresca “la positiva collaborazione delle forze politiche, economiche, sociali e spirituali”, per “camminare insieme, camminare in unità”, per costruire il futuro del vecchio continente, “una società inclusiva, che non segua l’agenda imposta dal “dilagante potere dei centri dell’alta finanza”, protagonista del bene comune; una società dove “i più deboli, i più poveri e gli ultimi non sono visti come indesiderati, come intralci che impediscono alla ‘macchina’ di camminare, ma come cittadini, come fratelli da inserire a pieno titolo nella vita civile”.
Una società può dirsi “veramente civile” quanto più “si prende a cuore la sorte dei più svantaggiati”.
Una “società inclusiva” che non segua l’agenda imposta dal “dilagante potere dei centri dell’alta finanza”.
Allora ecco la seconda parola, messaggio ecumenico in questo viaggio: misericordia. Parola cara a Papa Francesco, che in Romania chiede di mettere da parte le divisioni per tendere a costruire l’unità. Il grido – “unitate” – che venti anni fa Giovanni Paolo II e il patriarca ortodosso Teoctist ascoltarono, torna, oggi, nelle parole di Francesco che può visitare la Transilvania: “pellegrinare significa sentirsi chiamati e spinti a camminare insieme, chiedendo al Signore la grazia di trasformare vecchi e attuali rancori e diffidenze in nuove opportunità per la comunione”; pellegrinare significa “non aver timore di mescolarsi, di incontrarci e aiutarci”; significa ancora far “prevalere la fraternità e il dialogo sulle divisioni”. Pellegrinare è “guardare non tanto quello che avrebbe potuto essere, e non è stato, ma piuttosto tutto ciò che ci aspetta e non possiamo più rimandare”.
Fabio ZAVATTARO
FONTE: AGENSIR
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