Fonte: Torre dei Venti
Quando lo sport non è più
sport ma diventa pretesto per atti di violenza, allora bisogna fermarsi
per riflettere, per prendere provvedimenti seri e per ricostruire una cultura
della civiltà.
Il pre-partita per la finale di Coppa Italia tra
Napoli e Fiorentina, disputata a Roma, ha rappresentato l'ulteriore campanello
di allarme diventato ormai uno stonato campanaccio tranne che alle orecchie
sorde di chi, anteponendo gli interessi economici a quelli sociali, non ha
alcuna voglia di cogliere questi segnali preoccupanti.
Gli scontri fuori dallo stadio con il ferimento di alcuni tifosi sono fatti gravi sui quali dovranno cimentarsi forze dell'ordine e giustizia e, sia che si tratti di scontri tra ultras sia di "conti in sospeso", conducono comunque e sempre a soggetti facilmente etichettabili come delinquenti.
Altra situazione, ancora più inquietante, è quella
vissuta all'interno dell'Olimpico dove si sono intrecciate come in un telaio
impazzito violenza, brandelli di sport, debolezza delle istituzioni.
E anche questa può essere definita, senza mezzi
termini, violenza da parte di delinquenti ma come è possibile che una squadra
che milita in serie A scenda a patti con queste scalmanate tifoserie?
Gli scontri fuori dallo stadio con il ferimento di alcuni tifosi sono fatti gravi sui quali dovranno cimentarsi forze dell'ordine e giustizia e, sia che si tratti di scontri tra ultras sia di "conti in sospeso", conducono comunque e sempre a soggetti facilmente etichettabili come delinquenti.
Le scene alle quali abbiamo assistito, se ci riflettiamo, sono ben
più gravi di quanto si poteva vedere nell'immediatezza di quegli istanti.
La linea di confine tra illegalità e legalità si è sfrangiata nel
momento in cui la squadra del Napoli ha sentito la necessità o, più
probabilmente, si è sentita costretta a informare i tifosi presenti in curva
della situazione in cui versavano i feriti.
Una vera e propria
consultazione - se giocare o meno la partita - che ha del paradossale: lo
spaurito Marek Hamsik, capitano della squadra partenopea, stretto in un angolo
dall'energumeno leader di quegli ultras che, nel frattempo, hanno fatto partire
seggiolini, fumogeni e bombe carta contro gli steward e i vigili del fuoco.
Di certo il problema - è bene chiarirlo - non è solo del Napoli in
quanto negli anni abbiamo visto e rivisto scene di questo tipo, con i capitani
di turno che si consultano con soggetti che tutto potranno amare meno che lo
sport, il calcio e la sana competizione.
Ma i paradossi della serata non finiscono qui ed ecco che arriva
la componente istituzionale. In tribuna, oltre ai vertici del mondo calcistico,
sedevano anche il presidente del Senato Pietro Grasso e il presidente del
Consiglio Matteo Renzi. Entrambi hanno assistito a queste scene di violenza e a
una tolleranza che non può essere adeguatamente giustificata neppure dalle
valutazioni sulle opportunità in tema di ordine pubblico.
Forse, e dico forse, sarebbe
stato conveniente che i due alti rappresentanti delle istituzioni avessero
lasciato quello stadio emblema di un Paese dove non sempre comanda la legalità,
incapace di riconoscersi persino nel proprio inno nazionale, fischiato a pieni
polmoni.
Sicuramente sarebbe opportuno che, dai prossimi giorni, venissero
presi provvedimenti seri che non cerchino l'impossibile quadratura del cerchio
in nome dei vari interessi ma siano pronti a disfare questa geometria della
violenza e dell'inciviltà, ponendo la delinquenza su una sponda e lo sport su
un'altra.
Solo con una netta linea di demarcazione il calcio riacquisterebbe
il suo fascino e ne gioverebbe anche il senso civico del nostro Paese.
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