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Elogio della ragione nel solco di Benedetto XVI

Se dovessi trovare una parola che sinteticamente definisce la sua identità, direi semplicemente: è stato un uomo di fede, un credente che ha vissuto ogni cosa a partire da Dio, nella luce di Dio e con il desiderio di condurre tutti a Dio. Parliamo di Benedetto XVI che, a buon diritto, possiamo definire uno dei più grandi protagonisti del Novecento.



È nato il 16 aprile 1927, sabato santo. Il giorno in cui la liturgia tace e la preghiera diventa attesa della luce. La cornice ideale per un uomo che, malgrado le apparenze, ha scelto di vivere nell’ombra per dare a Dio tutta la gloria. Un uomo che non ha cercato di affermare sé stesso ma ha messo ogni sua competenza, e ogni fibra del suo essere, a disposizione del Vangelo. Parliamo di Benedetto XVI che, a buon diritto, possiamo definire uno dei più grandi protagonisti del Novecento.

La sua umana grandezza è sotto gli occhi di tutti. È stato un pensatore raffinato e una guida spirituale, un Pastore che ha saputo guidare il popolo che Dio ha affidato lungo gli anni e nei diversi ambiti in cui ha esercitato il suo ministero, prima come docente e poi come vescovo e Papa. Una vita piena e operosa. Se dovessi trovare una parola che sinteticamente definisce la sua identità, direi semplicemente: è stato un uomo di fede, un credente che ha vissuto ogni cosa a partire da Dio, nella luce di Dio e con il desiderio di condurre tutti a Dio.

Il ministero teologico gli aveva insegnato a dialogare con tutti, anche con quelli che avevano un pensiero diverso o radicalmente opposto al suo. La teologia è l’ambito del confronto, anche quello più il acceso. Diverso è lo stile che deve assumere un Pastore, come chiarì lui stesso il 28 maggio 1977 nel corso della liturgia della sua ordinazione episcopale: “Il vescovo non agisce in nome proprio, ma è un fiduciario di un altro, di Gesù Cristo e della Chiesa. Non è un manager, un capo per propria grazia, bensì l’incaricato di un altro di cui è garante. Dunque non può nemmeno cambiare opinione a piacimento e difendere ora questa ora quella causa, a seconda di come gli sembri conveniente. Non è qui per diffondere le sue idee private, ma è un inviato che deve trasmettere un messaggio più grande di lui. Egli verrà misurato su questa fedeltà: essa è il suo incarico”.

Un Papa ascolta tutti ma non può dare ragione a tutti. Il compito ricevuto gli chiede di indicare con chiarezza la strada che risponde alla verità che risplende nella Scrittura e nella Tradizione della Chiesa. Un Papa non segue le mode ma il Signore. Il suo ministero è quello di confermare il popolo di Dio nella fede. Ed è quello che ha fatto Papa Benedetto che, proprio per questo, a giudizio di mons. Georg Gänswein, il fedele segretario che lo ha accompagnato durante il pontificato e negli anni successivi alla rinuncia, emerge nel secolo del pensiero debole come “un faro di competenza teologica, di chiarezza dottrinale e di saggezza profetica” (introduzione al suo libro Nient’altro che la verità).

Chi legge gli scritti di Joseph Ratzinger scopre che ha un’incredibile e poco comune capacità di spiegare i capitoli più complessi della dottrina cattolica. Ha combattuto con determinazione il relativismo filosofico e morale che rappresenta la deriva nichilista della nostra epoca. Questo approccio culturale in ambito filosofico taglia le ali della ragione e chiude l’orizzonte del Cielo. In ambito morale promuove una concezione assai impoverita della vita umana perché pretende di misurare ogni cosa con i canoni del piacere e del successo. Se il vero e il falso non esistono, o comunque sono irraggiungibili, se tutto si riduce ad opinione soggettiva, ciascun individuo è libero di decidere quello che vuole ed è libero di fare quello che vuole.

Il relativismo sembra promuovere il massimo di libertà, in realtà, come aveva ben compreso Ratzinger è solo la premessa per una nuova e più incisiva dittatura. E difatti, dopo aver svuota l’arca dell’alleanza dei comandamenti divini, la cultura odierna non solo offre ma di fatto impone altri valori come dogmi indiscutibili.

Dinanzi a questa cultura, che grazie ai mezzi di informazione manipola le coscienze e s’insinua nelle pieghe del cuore e della vita, il credente appare in difficoltà e incapace di rendere ragione della sua fede. Si comprende perciò perché la proposta teologica di Ratzinger insiste sul valore della ragione. Egli intende così mostrare che i valori del cristianesimo hanno un fondamento oggettivo, non hanno solo un valore religioso ma hanno un valore antropologico, difendono la dignità della persona dagli attacchi di un relativismo che cosifica l’essere umano. Il matrimonio monogamico, la dignità e l’uguaglianza della persona, l’intangibilità della vita… questi e altri sono i valori che il cristianesimo ha seminato nella storia dell’umanità, valori che hanno contribuito non poco allo sviluppo di una società in cui tutti hanno gli stessi diritti perché hanno la medesima dignità.

Il ruolo della ragione appare decisivo nel dialogo interreligioso perché evita che l’evidente e incompatibile diversità della fede sfoci in un conflitto insanabile, come è accaduto nei secoli passati. La ragione è dunque l’unico terreno per un confronto che diventi collaborazione.

La ragione è ancora più indispensabile in ambito sociale perché solo sulle basi di valori comuni a tutti è possibile costruire una convivenza che non si riduce ad un misero compromesso né scade in un nuovo e più raffinato autoritarismo.

Questi e altri temi potrebbero essere sviluppati a partire dal pensiero di Benedetto XVI. Rendiamo grazie a Dio per averci donato quest’uomo umile e sapiente, mite e coraggioso. Un uomo che ha saputo sfidare il Pensiero Unico perché sapeva di servire l’unico Dio che conduce e orienta il cammino dei popoli.


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