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Giornata del ricordo delle vittime delle missioni militari all'estero di Eugenio SCAGLIUSI



Giornata del ricordo delle vittime delle missioni militari all'estero
 (17.11.2011, intervento in Sala Consiliare)

Riterrei che il modo migliore per cominciare questa serata sia il fare proprio ed estendere il ringraziamento che oggi, parlando al Senato, il Presidente incaricato del Consiglio dei Ministri, Mario Monti, ha rivolto a tutti i militari impegnati all’estero.
Fatta questa premessa, rivolgo il mio grazie personale agli organizzatore per l’invito.
Non nascondo che quando sono stato invitato ad esprimere la mia opinione sull’impegno dei nostri militare all’estero ha avuto qualche perplessità. Non è facile esprimere la propria opinione su questo argomento senza correre il rischio di dire cose banali oppure di essere strumentalizzati.
Ho pensato che il mondo migliore per comprendere il valore delle missioni dei nostri militari, oggi, sia ricostruire storicamente il ruolo dei militari stessi. O meglio, tentare una brevissima analisi, una semplice ricostruzione storica, su come, nel tempo, si sia modificato l’impiego dei militari (e lo stesso concetto di “guerra”) nella risoluzione delle controversie tra Stati.
Se solo limitiamo l’analisi agli eventi storici dell’età moderna, già successivamente al periodo della rivoluzione francese la guerra era considerata un modo legittimo ed efficace di favorire gli interessi più disparati delle diverse nazioni (John Gooch, Soldati e borghesi nell’Europa moderna, Laterza, 1982). La guerra era combattuta con uomini e mezzi consapevolmente sacrificati in nome di ideali ritenuti condivisi da tutta la nazione. Per la verità, in epoche storiche più lontane accadeva anche di peggio, perché spesso si scatenavano guerre per molto meno. Addirittura per banali liti tra famiglie governanti.
Con il passare del tempo la prospettiva è cambiata: alla guerra, come tradizionalmente intesa,  si è sostituita la "missione di pace" e all’invasione di un territorio – elemento caratterizzante le guerre dell’epoca moderna – si preferisce il "bombardamento chirurgico". Parallelamente all’uso della forza, si utilizzano strumenti di persuasione commerciali, finanziari e informatici.
Gli orrori tragici delle due guerre mondiali del secondo scorso, peraltro a breve distanza l’una dall’altra, hanno indotto la comunità internazionale ad una nuova riflessione. Si è cercato di limitare la sovranità nazionale dei vari Stati rispetto all’uso della guerra nella risoluzione dei conflitti tra Stati. Quei tragici orrori hanno portato gli Stati a delegare in favore delle Nazioni Unite, limitandolo, l’uso della forza. Più in generale, si è giustamente ritenuto che le organizzazioni internazionali potessero occuparsi di individuare scopi ed iniziative comuni quali strumenti di persuasione per quegli Stati che, in vario modo, costituissero minacce all’ordine, la sicurezza e la pace internazionale.
Storicamente, su questi presupposti sono nate le “missioni di pace”, accompagnate da subito dalla necessarietà di stabilire “regole di ingaggio” per limitare l’uso della forza ai casi strettamente necessari. Si è giunti, cioè, a valutare l’opportunità di realizzare veri e propri momenti di solidarietà internazionale attraverso l’utilizzo “diverso”, rispetto alla concezione storico-tradizionale, dei militari. A questa concezione, che riconosce il primato dell’uso della forza, la necessarietà della guerra, l’aggressione, la sopraffazione, si è opposta – favorendola – la concezione dell’impiego del personale e dei mezzi militari (anche attraverso l’attenta previsione delle “regole di ingaggio”) per salvaguardare e  promuovere una convivenza umana in cui ci siano spazio e dignità per ogni popolo, cultura e religione. In questo modo, il ruolo degli interventi militari è diventato quello di garantire l'ordine e la sicurezza delle persone, la difesa da ogni aggressione, il rispetto dei diritti individuali e collettivi. Gli interventi militari sono stati quasi sempre limitati a svolgere funzioni “cuscinetto”; funzioni di controllo del territorio; operazioni di sminamento; protezione dei civili e dei profughi; aiuto alle popolazioni colpite da catastrofi naturali.
Esiste, ovviamente, il problema più grave: quello dell’uso del personale e dei mezzi militari quale strumento di persuasione “offensivo”. In questo sicuramente giocano un ruolo importantissimo le relazioni internazionali, gli accordi tra Stati, le organizzazioni internazionali.
Sta di fatto che ogni volta che si parla di “missioni militari”, ci si ritrova ad interrogarsi sulla loro opportunità.
Ed esiste una problematicità ancora maggiore, soprattutto per i “credenti”. Una problematicità che affido alla vostra riflessione, se non altro perché non può trovare risposta in questa sede: esiste una “dimensione religiosa” della vita militare? Esiste la possibilità di una sintesi tra per cui sia possibile essere anche militari per “amore”? Non mi piace affatto pensare – come fanno in molti – che chi sceglie la vita militare e la missione militare lo faccia “solo” perché essa costituisca una occasione di lavoro o – peggio ancora – possa contribuire a pagare un mutuo. Mi pare, invece, che la chiave di svolta sia il pensare come sia possibile pensare alla vita militare come servizio alla propria Nazione per favorire la promozione dei fondamentali diritti umani dei popoli, sia sul territorio interno che su quello esterno. Comprendo quanto sia difficile pensare e vivere  questa dimensione della “vita militare”. Né è facile predicare la mitezza e la pace in un contesto armato; ma sarebbe  possibile tentare – con competenza e professionalità – di renderlo più umano e più “cristiano”.
Concludo queste mie riflessioni con una considerazione finale: sicuramente non si può esportare la democrazia, ma bisogna pensare e studiare come salvaguardare l’ordine internazionale. Per questo purtroppo non è sufficiente riconoscere il primato del dialogo, del confronto, delle consultazioni e delle relazioni tra Stati, che sicuramente vanno favorite e promosso. Ma contemporaneamente occorre porsi il problema del “che fare” rispetto a situazioni “patologiche” che purtroppo si verificano. Queste situazioni si verificano ed è giusto che l’Italia manifesti il suo impegno nell’ambito delle organizzazioni internazionali cui appartiene.
Mi pare, allora, che il modo migliore per concludere e per caratterizzare questa serata sia il ribadire quel ringraziamento iniziale per i militari impegnati nelle varie missioni. Grazie a voi, ragazzi.
E grazie a voi per essere venuti ed aver partecipato a questa serata.

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