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Il Papa: oggi una bulimia da social, imparare a comunicare in modo onesto e prudente

All'udienza generale in Piazza San Pietro, ripresa dopo la pausa estiva, Leone XIV conclude l'"itinerario sulla vita pubblica di Gesù" con un'ultima catechesi sulle guarigioni, proponendo quella dell'uomo che non parlava e non sentiva e soffermandosi sul tema dell'incomunicabilità e sull'eccesso di informazioni e immagini che riceviamo spesso "false o distorte". Il Pontefice chiede di pregare per evitare di fare male agli altri con le proprie parole


Dopo una pausa di quattro settimane, il Papa riprende, in piazza San Pietro, l’udienza generale del mercoledì proponendo l’ultima catechesi dedicata alla “vita pubblica di Gesù, fatta di incontri, di parabole e di guarigioni”, nell'ambito del ciclo giubilare “Gesù Cristo Nostra Speranza”. Arriva tra i fedeli, sulla sua jeep bianca, in anticipo e, come di consueto, raggiunge i diversi angoli dell'emiciclo del Bernini. Giunto poi sul sagrato della basilica vaticana, prima di approfondire l'episodio della guarigione dell’“uomo che non parla e non sente” narrato nel Vangelo di Marco, si sofferma sull'eccesso dell'utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione, da dove giungono anche informazioni non veritiere e innumerevoli notizie che generano in noi sentimenti opposti e confusione. E allora deve "guarire il nostro modo di comunicare", per non "fare male agli altri con le nostre parole", bisogna "imparare a comunicare in modo onesto e prudente".


Anche questo tempo che stiamo vivendo ha bisogno di guarigione. Il nostro mondo è attraversato da un clima di violenza e di odio che mortifica la dignità umana. Viviamo in una società che si sta ammalando a causa di una “bulimia” delle connessioni dei social media: siamo iperconnessi, bombardati da immagini, talvolta anche false o distorte. Siamo travolti da molteplici messaggi che suscitano in noi una tempesta di emozioni contraddittorie



Il rischio di chiudersi nel silenzio
In una tale realtà può nascere “in noi il desiderio di spegnere tutto”, osserva il Papa, “di non sentire più niente”, e poiché “anche le nostre parole rischiano di essere fraintese”, può nascere la tentazione di chiudersi “nel silenzio, in una incomunicabilità dove, per quanto vicini, non riusciamo più a dirci le cose più semplici e profonde”.


E riflettendo sull’uomo che non parla e non sente descritto dall’evangelista Marco, il Pontefice considera che, “come potrebbe accadere a noi oggi”, questo tale “forse ha deciso di non parlare più perché non si è sentito capito, e di spegnere ogni voce perché è rimasto deluso e ferito da ciò che ha ascoltato”. E infatti “non è lui” ad andare “da Gesù per essere guarito, ma viene portato da altre persone”, forse preoccupate “del suo isolamento”. Il Papa spiega che “la comunità cristiana ha visto però in queste persone anche l’immagine della Chiesa, che accompagna ogni uomo da Gesù affinché ascolti la sua parola”, e questo anche perché il fatto accade in un ambiente “pagano”, dunque in “un contesto dove altre voci tendono a coprire quella di Dio”.


La vicinanza di Gesù
Gesù, che “prende con sé questa persona e la porta in disparte”, ci fa comprendere il “bisogno di intimità e di vicinanza” che si cela “dietro il silenzio e la chiusura di quest’uomo”, al quale “offre” anzitutto “una prossimità silenziosa, attraverso gesti che parlano di un incontro profondo”. Il Maestro “tocca le orecchie e la lingua” di questo tale “che ha smesso di ascoltare e di parlare” e gli dice effatà, apriti, invitandolo ad aprirsi al “mondo” che lo “spaventa”, “alle relazioni” dalle quali è stato deluso, “alla vita” che ha “rinunciato ad affrontare”, perché “chiudersi” osserva il Papa, “non è mai una soluzione”.

Guarire il nostro modo di comunicare
C’è, poi un ulteriore dettaglio che il Pontefice invita a considerare, ed è il fatto che l’evangelista Marco specifica che quell’uomo “non solo torna a parlare, ma lo fa ‘correttamente’”, come a rivelare che forse aveva “smesso di parlare perché gli sembrava di dire le cose in modo sbagliato, forse non si sentiva adeguato”.

Tutti noi facciamo esperienza di essere fraintesi e di non sentirci capiti. Tutti noi abbiamo bisogno di chiedere al Signore di guarire il nostro modo di comunicare, non solo per essere più efficaci, ma anche per evitare di fare male agli altri con le nostre parole.


Per diventare discepoli di Gesù non ci sono scorciatoie
Non conta, però, soltanto “parlare correttamente”, sottolinea Leone XIV, facendo notare che Gesù raccomanda all’uomo di non raccontare nulla di quanto accadutogli, come a volergli far comprendere di dover intraprendere un cammino.

Per conoscere veramente Gesù occorre compiere un cammino, bisogna stare con Lui e attraversare anche la sua Passione. Quando lo avremo visto umiliato e sofferente, quando sperimenteremo la potenza salvifica della sua Croce, allora potremo dire di averlo conosciuto veramente. Per diventare discepoli di Gesù non ci sono scorciatoie.

Imparare a comunicare in modo onesto e prudente
Da qui l’invito del Pontefice a chiedere “al Signore di poter imparare a comunicare in modo onesto e prudente”, a pregare per quanti “sono stati feriti dalle parole degli altri” e “per la Chiesa, perché non venga mai mano al suo compito di portare le persone a Gesù, affinché possano ascoltare la sua Parola, esserne guarite e farsi portatrici a loro volta del suo annuncio di salvezza”.

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

FONTE: VATICAN NEWS

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